Andata in pensione per la sua scarsa resa, potrebbe tornare in futuro grazie a una tecnologia del MIT che permette di recuperare parte dell'energia dispersa in calore.
Ricordate la vecchia lampadina a incandescenza? Nell'Unione Europeaè fuorilegge dal 2012, soppiantata dalle più efficienti lampadine a risparmio energetico, ma al MIT è in fase di sviluppo una tecnologia che in futuro potrebbe regalarle una seconda giovinezza. Un team di ricercatori ha dimostrato come sia possibile riciclare parte dell'energia dissipata in calore grazie a una struttura cristallina integrata nel bulbo che circonda il filamento di tungsteno.
MA QUANTO MI COSTI? Le lampadine a incandescenza sono andate in pensione a causa della loro scarsa efficienza energetica (il rapporto tra luce emessa ed energia consumata), che si aggira intorno al 5%. In pratica significa che, per ogni euro speso, circa cinque centesimi diventano "luce", mentre tutto il resto viene sprecato in calore. Di contro le energy saving, quali LED e CFL (fluorescenti compatte), hanno una resa che tocca anche il 15%, sebbene siano più costose (ma anche durature).
BULBO RIFLETTENTE. La tecnica del MIT, battezzata recycling light, fa sì che l'energia normalmente dispersa in calore "rimbalzi" contro l'ampolla di vetro e venga reindirizzata verso la spirale di tungsteno, che può così utilizzarla per produrre nuova luce.
I test condotti in laboratorio hanno evidenziato un'efficienza vicina a quella delle lampadine a basso costo, ma gli scienziati sono convinti di poter arrivare a una resa intorno al 40%.
SOTTO UNA LUCE DIVERSA.«Una caratteristica importante riguarda il fatto che il nostro dispositivo raggiunge una resa dei colori quasi ideale», ha dichiarato il ricercatore Ivan Celanovic. A parità di efficienza, la lampadina 1a incandescenza si farebbe infatti preferire per il miglior indice di resa cromatica (IRC), ovvero la misura di quanto appaiono naturali colori degli oggetti illuminati: 100% (o quasi) contro l'80% delle lampadine fluorescenti o LED di migliore qualità.
I dettagli dello studio sono pubblicati sulla rivista Nature Nanotechnology.
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