La storia di Licio Gelli, dal fascismo alla P2, attraverso le più oscure vicende italiane. Chi era davvero Licio Gelli e come ha influito sulla storia d'Italia?
Gelli nel 1992 a Villa Wanda, la residenza di Arezzo chiamata così in onore della prima moglie. E dove è morto nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 2015 all'età di 96 anni. Gelli era stato ricoverato recentemente in ospedale. Da due giorni le sue condizioni di salute, già precarie, erano peggiorate tanto da indurre la moglie Gabriela Vasile a ricoverarlo nella clinica pisana di San Rossore da dove era stato dimesso alla fine della scorsa settimana perché giudicato ormai in fin di vita.
Come un uomo con la terza media, direttore di una fabbrica di materassi, pesantemente compromesso col fascismo, sia potuto diventare uno dei personaggi più potenti dell’Italia repubblicana, segnando alcune delle più oscure vicende della storia patria (dal crack del Banco Ambrosiano a Gladio, fino alla strage di Bologna) resta in parte un mistero. Qual era il segreto di Licio Gelli, morto a 96 anni ad Arezzo la notte scorsa?
VENERABILE. La prima sorpresa è che l’ex Venerabile Maestro della massoneria piduista godeva di libertà assoluta; dal 2005 non era infatti più agli arresti domiciliari. E viveva ancora nella famigerata Villa Wanda, ad Arezzo, messa all’incanto nel 2006 ma rimasta a Licio Gelli forse grazie a una transazione con lo Stato (dopo che tutte le aste erano andate deserte).
La storia di Gelli lascia trapelare, in controluce, le caratteristiche del suo potere. La prima è la capacità di osare. «La mia avventura inizia nel 1936, con la partecipazione alla guerra civile spagnola» raccontava il capo della P2 in un'intervista a Focus Storia.
Gelli all’epoca è appena diciassettenne ma decide lo stesso di unirsi ai volontari fascisti impegnati a sostenere Francisco Franco nella repressione della nascente democrazia spagnola. Licio è il più giovane legionario del contingente e si distingue in un’azione pericolosa. Viene decorato da Franco in persona. Nella guerra muoiono in tanti: anche il fratello maggiore Raffaello. È un fatto traumatico, che segna la psicologia del giovane: ai suoi occhi di balilla i “comunisti” diventano il male assoluto che sta distruggendo l’Europa.
Dopo la morte del fratello, Licio viene rimpatriato. «Il secondo fatto importante della mia vita avvenne quando tornai. Il Duce mi ricevette a Palazzo Venezia» raccontava. Le immagini di quell’incontro erano ancora vivide nella memoria di Gelli che quasi 90enne raccontava: «Mi fecero entrare nel salone del Mappamondo. Sentii chiamare: “Vieni avanti”. Mi voltai di scatto, vidi Mussolini, provai un’emozione enorme… Lo salutai battendo i tacchi. Mi venne incontro e mi abbracciò. Disse: “La tua famiglia ha dato un grosso contributo di sangue alla causa fascista. Ora dimmi: cosa vuoi fare del tuo futuro? Vuoi continuare a impegnarti?”. Mi propose di frequentare i corsi del Centro di preparazione politica per i giovani. Accettai con entusiasmo».
CACCIA AL TESORO. Il 10 giugno 1940 Mussolini annuncia l’entrata in guerra al fianco della Germania. Gelli non deve attendere molto perché gli venga affidato un incarico: ispettore per l’organizzazione dei Fasci di combattimento a Càttaro, un paesino del Montenegro che controlla un tratto di costa di importanza strategica. Così, nel luglio del 1940, Gelli parte. Il suo lavoro è molto simile a quello che oggi si potrebbe definire di intelligence. Licio è poco più che un ragazzo, ma già così giovane apprende la seconda componente fondamentale su cui costruirà il suo potere: il valore dell’informazione. È nel periodo passato nell’intelligence fascista che Gelli impara ad archiviare dati, a raccoglierli, a classificarli.
A quegli stessi anni risalirebbe un evento quasi leggendario della vita di Gelli. Nel 1942 si sarebbe infatti impadronito di una parte del tesoro della Banca nazionale serba. Secondo alcune ricostruzioni, gli venne affidato il compito di recuperare e trasportare in Italia il tesoro di re Pietro: 60 tonnellate di lingotti d’oro, 2 di monete antiche, 6 milioni di dollari e 2 milioni di sterline che gli uomini del Sim (il servizio segreto fascista) avevano prelevato dai forzieri della Banca nazionale serba e nascosto in una grotta. L’oro arrivò effettivamente in Italia, via Trieste, e fu consegnato alle autorità di Roma. Ma quando nel 1947 il tesoro venne restituito dalla Banca d’Italia alle autorità iugoslave, mancavano 20 tonnellate di lingotti. In parte – afferma qualcuno – trattenuti e trasferiti in Argentina proprio da Gelli. E c’è chi pensa che i lingotti ritrovati nel corso di una perquisizione nelle fioriere del giardino di Villa Wanda provengano da quel tesoro, nonostante le smentite dell’interessato.
ANNI CONFUSI. Al termine della guerra, la vicenda personale di Gelli si fa convulsa. Si dice che il futuro capo della P2 avesse iniziato a collaborare con la Cia. Il credo nel valore della segretezza e in quello, cameratesco, dell’aiuto reciproco tra “fratelli” conduce Gelli al secondo grande incontro della sua vita: la massoneria, che si integrerà e in parte si sostituirà alla sua mai rinnegata fede fascista. «Nel 1945 mi spedirono in esilio in Sardegna: mi davano dieci lire al giorno, un chilo di pane e da dormire. Lì ebbi l’occasione di conoscere il sindaco della Maddalena, l’avvocato Marchetti, un ex gerarca. Fu lui a parlarmi della massoneria».
Dopo aver riacquistato la libertà e aver lavorato come assistente dell’onorevole democristiano Romolo Diecidue, negli Anni ’50 Gelli passa a dirigere una fabbrica di materassi Permaflex. All’inaugurazione di uno stabilimento dell’azienda è presente il cardinale Ottaviani, del Sant’Uffizio. «L’area politica di influenza di Ottaviani era quella di Andreotti» spiega l’ex Venerabile Maestro. Grazie agli appoggi della politica e del Vaticano Gelli fa buoni affari, ottenendo una grossa commessa Nato per la Permaflex. Al coraggio di rischiare e alla comprensione del valore dell’informazione, Gelli ha ormai affiancato il suo terzo elemento di forza: i rapporti disinvolti con la politica. A questi tre “segreti” se ne aggiungerà presto un quarto: il potere occulto della massoneria.
INIZIATO. «Sono entrato ufficialmente nella massoneria nel 1959, nel Grande Oriente d’Italia» raccontava Gelli (ma c’è chi dice vi appartenesse già dal ’46). «Dopo qualche anno i vertici compresero che avrei potuto fare proselitismo. Allora mi proposero di creare un gruppo mio, il cosiddetto Raggruppamento Gelli. E io lo feci».
Gelli si muove, raccoglie adepti. Il Gran Maestro Giordano Gamberini gli affida il compito di rivitalizzare una loggia “coperta” (la cui esistenza è cioè segreta) fondata nel 1895 col nome di “Propaganda”. È così che, nel 1971, nasce ufficialmente la loggia Propaganda 2, o P2, aperta a quelle personalità che non vogliono in alcun modo rendere nota la loro appartenenza alla massoneria. «Nel giro di alcuni anni raggiungemmo il numero di mille “apprendisti”. Apprendisti si fa per dire: erano tutte persone importanti, cui veniva immediatamente riconosciuto il grado di maestro» dice l’ex Venerabile.
IL PIANO. «Nel 1974 il presidente Leone mi convocò insieme al nuovo Gran Maestro, Lino Salvini, per chiederci qual era il pensiero della massoneria sui motivi del malessere italiano e le misure che avremmo suggerito per venirne a capo. Stilai allora un piano di rinnovamento della Repubblica in senso presidenziale. Leone lo lesse e lo apprezzò, ma obiettò che era “troppo profondo, troppo ardito” e che in quel momento non si poteva pensare di attuarlo». In realtà, il progetto completo di Gelli andava ben oltre e prevedeva non solo un mutamento della forma istituzionale, ma la conquista del potere attraverso il controllo della stampa, dei partiti e della magistratura, il dominio della televisione pubblica e l’avvio di una rete di televisioni private al servizio della “causa” (obiettivo che, secondo alcuni analisti, è stato realizzato vent’anni dopo da Silvio Berlusconi, iscritto anche lui alla P2).
INTRIGHI E AFFARI. Il “Piano di rinascita democratica” portò Gelli in contatto con uomini al vertice della finanza italiana. Come il banchiere Michele Sindona e il presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi, destinato a finire impiccato sotto il ponte dei Frati neri a Londra nel 1982. Gelli ne parla come di un vecchio amico. «Ricordo che lo incontrai una mattina a Roma. Era turbato e io gli chiesi cosa succedesse. Rispose: “Stamani devo sborsare 80 milioni di dollari per il sindacato polacco, Solidarnos´c´. Se non mi danno un aiuto salta tutto”. Lì ho capito che il dissesto del Banco Ambrosiano era dovuto alla Polonia». Secondo Gelli, le pressioni per i finanziamenti sarebbero venute da monsignor Marcinkus, il presidente dello Ior, la banca vaticana. «Fu papa Wojtyla a organizzare tutto» afferma. «Quando si progetta una “rivoluzione” le necessità finanziarie sono enormi. E Calvi era una persona leale, se prometteva una cosa la manteneva». Non solo. Calvi (come Sindona) era iscritto alla P2.
Il figlio del banchiere, Carlo Calvi, ha però rivelato che tra le cose che il padre aveva con sé nella borsa a Londra, quando morì, c’era anche una cartelletta intitolata “Bologna”. Secondo lui il padre conosceva i mandanti della strage del 2 agosto 1980 e con quei nomi avrebbe ricattato la P2 e gli ambienti dei servizi segreti deviati (quelli cioè che invece di essere al servizio dello Stato ne minavano le basi democratiche). Per questo c’è chi ha pensato che Gelli potesse essere tra i mandanti del “suicidio” di Calvi.
MISTERI D’ITALIA. Per la strage alla stazione bolognese sono stati condannati i terroristi di estrema destra Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, mentre Licio Gelli è stato condannato per depistaggio. La sua tesi? La pista araba. «Io credo che quello di Bologna sia stato un “incidente di percorso” occorso a terroristi in transito per quell’importante nodo ferroviario. Forse qualcuno ha buttato un mozzicone, che ha toccato l’esplosivo facendolo scoppiare» dice. Oltre alle 85 vittime riconosciute, alcuni parlarono di uno o due cadaveri non identificati. Per Gelli sarebbe la conferma della sua ricostruzione (in contrasto però con le conclusioni processuali).
Nel corso delle varie inchieste sulla strage si parlò anche del possibile ruolo dell’organizzazione clandestina anticomunista Gladio, di cui Gelli fu uno degli artefici. «Era un’operazione nata nel 1948» ricorda l’ex Venerabile. Lo scopo? Contrastare tempestivamente un’eventuale invasione sovietica dell’Italia, ma forse anche alimentare la strategia della tensione. «Molti dei partecipanti vennero reclutati tra ex legionari di Spagna e paracadutisti della Folgore. Reclutavano elementi con una certa fede politica, di destra, capaci di maneggiare le armi. Erano questi i requisiti».
LO SCANDALO. Gli anni dopo la strage di Bologna portarono a Gelli una notorietà non richiesta. Il 17 marzo 1981, in uno dei suoi uffici, indagando sul presunto rapimento di Sindona, i magistrati sequestrarono un elenco alfabetico di 962 iscritti alla loggia P2, che la presidenza del Consiglio rese pubblico il 21 maggio di quell’anno. Nella lista c’erano giornalisti, imprenditori, banchieri, sottosegretari, alti ufficiali della Finanza e dei Carabinieri e persino ministri. Dopo il sequestro (di cui era stato evidentemente avvertito) Gelli si rese latitante. Fu arrestato a Ginevra il 13 settembre 1982, mentre stava tentando di effettuare un’operazione bancaria. Ma un anno dopo evase dal carcere svizzero di Champ-Dollon. Si costituirà solo nel 1987.
Intanto, nel 1984, la commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2, presieduta da Tina Anselmi, concludeva il suo lavoro. Nella relazione finale si legge che la lista era “attendibile” e che la P2 era “un’organizzazione che aspirava non alla conquista del potere nelle sedi istituzionali, ma al controllo di esse in forma surrettizia [...]. Gelli era il punto di collegamento fra la piramide superiore, nella quale vengono identificate le finalità ultime, e quella inferiore, dove esse trovano pratica attuazione”.
La P2 fu sciolta con la legge n° 17 del 1982, che rese anche illegali in Italia la costituzione di logge segrete con finalità analoghe. Ma lui, l’ex Venerabile, fa notare che la P2 è stata assolta nei tre gradi di giudizio dalle accuse di cospirazione ai danni dello Stato. E i massoni italiani ricordano che la Corte europea di Strasburgo, nel 2001, ha condannato il nostro governo per aver violato – con una legge che impone per alcune cariche pubbliche di dichiarare la propria appartenenza a una loggia – il diritto di associazione garantito dall’articolo 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La maggior parte degli storici però concorda: sul ruolo della massoneria “deviata” non è ancora stata fatta del tutto chiarezza.
OMBRE LUNGHE. E oggi? L’ex Venerabile era certo che le logge coperte esistano ancora, eccome. «C’è sempre una grande richiesta di adesioni alla massoneria» affermava. «Ma non a tutti coloro che bussano viene aperto. E c’è un “contenitore” riservato a persone le cui identità – per l’incarico che hanno o la professione che svolgono – sono conservate solo dal Gran Maestro. Le logge coperte esistono, e sono necessarie».
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