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La storia del primo bambino-bolla

David Vetter è nato nel 1971, e ha vissuto la sua breve vita isolato in un involucro di plastica. Tra pochi mesi, la prima terapia genica per bambini come lui potrebbe essere disponibile non più solo in via sperimentale, ma come trattamento riconosciuto.

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David Vetter nella sua "bolla" a quasi due anni.
David Vetter è stato il primo e il più famoso dei “bambini-bolla”: colpito da una malattia genetica rara che annulla le difese immunitarie, ha vissuto fino a dodici anni in un involucro di plastica progettato apposta per proteggerlo da comunissimi virus e batteri, quasi innocui per le persone normali, ma che a lui avrebbero potuto provocare infezioni fatali. Gli unici istanti in cui è venuto a contatto con il mondo sono stati quelli poco prima di morire, dopo un trapianto di midollo tentato per guarirlo, e che invece non funzionò. Era il 1983.

In questi giorni il New York Times gli ha dedicato un toccante video (qui sotto), montato con le riprese dell’epoca, degli anni in cui David era diventato quasi una celebrità nazionale.

Il suo caso ha anche contribuito a rendere nota la sindrome da cui era affetto, per cui oggi esistono terapie cui la ricerca in Italia ha fornito un contributo essenziale.

COMPLETAMENTE INDIFESI. Le Scid, ovvero le immunodeficienze combinate gravi, sono un gruppo di malattie, di solito ereditarie, che causano un difetto di produzione dei linfociti T e B, le cellule deputate a difendere l’organismo dalle infezioni. I neonati affetti dalla malattia (che colpisce da uno su 50mila a uno su 75mila nati  sono perfettamente normali alla nascita ma, passati i primi mesi di vita in cui sono protetti dagli anticorpi passati dalla mamma, cominciano di solito ad ammalarsi di infezioni da cui non riescono a recuperare. David era affetto dalla Scid legata all’X, in cui il difetto genetico che comporta la mancata produzione di linfociti è situato sul cromosoma X, e colpisce solo i maschi. La cosiddetta Ada-Scid è invece dovuta al deficit di un enzima, la adenosindeaminasi (ADA), che provoca a sua volta un’alterazione dei linfociti.

ISOLATI PER SOPRAVVIVERE. All’epoca di David, nei primi anni ’70, l’unica speranza per farlo sopravvivere era tenerlo in un ambiente il più possibile sterile, per evitargli le infezioni che avrebbero potuto ucciderlo. Anche se le immagini mostrano un bambino allegro e giocoso, perfettamente normale, già quando David era in vita c’era chi si chiedeva se fosse accettabile da un punto di vista etico far crescere un bambino completamente isolato dal mondo.

David Vetter con una specie di tuta spaziale che gli ingegneri della NASA avevano progettato apposta per lui,
In pochissime occasioni a David fu concesso di uscire dalla bolla, una volta indossando una specie di tuta spaziale che gli ingegneri della NASA avevano progettato apposta per lui, e che si vede anche nel video. L’unica altra speranza era il trapianto di midollo da un donatore almeno parzialmente compatibile, fratello o sorella. Questa strada fu tentata anche per David quando aveva dodici anni, ma andò male. Il motivo – si crede – fu il passaggio con le cellule del midollo di un virus che per lui, prima che il trapianto avesse avuto modo di attecchire per ricostituire il sistema immunitario, fu fatale.

TRA SPERANZE E DELUSIONI. All’inizio degli anni Novanta, vennero fatti i primi tentativi di terapia genica per trattare la Scid. All’ospedale San Raffaele di Milano, i ricercatori guidati da Claudio Bordignon,
cercarono di correggere il difetto genetico all’origine dell’Ada-Scid nei linfociti poi re-infusi nei pazienti. Si provò su due pazienti, e i risultati furono incoraggianti ma non risolutivi.

Invece per la forma da cui era affetto David (Scid legata al cromosoma X) la terapia genica, sperimentata a Parigi si rivelò efficace ma alcuni dei piccoli pazienti svilupparono dopo alcuni mesi un grave effetto collaterale, la leucemia. Quella vicenda segnò una battuta d’arresto importante, e un periodo di sfiducia nella terapia genica.

Oggi i ricercatori hanno però capito perché la leucemia si era sviluppata (è dovuto al virus usato come vettore e ad altre concause) e stanno facendo ricerche per ovviare al problema. Il gruppo di ricercatori guidato da Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele - Telethon di Milano ha sviluppato una nuova terapia più mirata per la Scid legata all’X e ha dimostrato che in vitro funziona, ma deve essere ancora sperimentata sulle persone.
"Non ha mai toccato il mondo, ma il mondo è stato toccato da lui": così recita l’epitaffio di David Phillip Vetter, nato nel settembre 1971 e morto nell'ottobre del 1984, dopo aver vissuto la sua esistenza in una bolla perché affetto da ADA-SCID.
VERSO LA PRIMA TERAPIA GENICA RICONOSCIUTA. È invece sul punto di diventare un trattamento riconosciuto, registrato, rimborsato un’altra metodica di terapia genica per l’Ada-Scid basata sulla correzione genetica delle cellule staminali del midollo osseo. GlaxoSmithKline, in collaborazione con Fondazione Telethon ed Ospedale San Raffaele ha presentato all’EMA, l’autorità europea sui farmaci, il dossier sul trattamento.

«La richiesta  all’EMA si basa sui dati relativi a 18 bambini, provenienti da vari paesi del mondo, Italia compresa, che sono tutti vivi, con il follow up più lungo  di oltre tredici anni» racconta a Focus.it Alessandro Aiuti, coordinatore della ricerca clinica delll’Istituto San Raffaele Telethon di Milano. «Quindici di loro vivono senza aver avuto necessità di ricevere terapie a base dell’enzima ADA o di essere sottoposti a un trapianto».
Se supererà tutti i passaggi necessari, nei primi mesi del 2016 la terapia genica passerà dallo stato di trattamento sperimentale a quello di cura “ufficiale”. “Sarà disponibile all’inizio ancora solo al San Raffaele, per i pazienti provenienti da tutta Europa”.

La bolla di David era stata costruita all’interno dell’ospedale, il Texas Children’s Hospital di Houston, e poi riprodotta anche all’interno della casa dei suoi genitori, in Texas

DIAGNOSI SUBITODopo la vicenda di David, negli Stati Uniti, è stato dato il via a uno screening sui neonati: a pochi giorni di vita viene fatto un esame per diagnosticare se sono affetti dalla Scid e da alcune altre malattie genetiche rare. Benché la malattia sia rara, è importante individuare i bambini affetti prima che la malattia sia manifesti con infezioni gravi, per poter dare subito il via alle terapie. «L’ospedale pediatrico Meyer di Firenze ha avviato una sperimentazione in alcune regioni per mettere a punto le metodiche più adatte, ma per ora in Italia non siamo ancora riusciti a farlo partire» osserva Aiuti. «Sarebbe invece uno strumento essenziale».

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