Un passo in avanti in un tema complesso e pieno di insidie: quello della componente genetica ed ereditaria delle più importanti capacità cognitive umane.
Una "scarica" di nuove idee.
Intelligenti si nasce o si diventa? Entrambe le cose, posto che di intelligenza si possa dare una definizione univoca. Ora un gruppo di neuroscienziati inglesi potrebbe aver compiuto un passo in avanti nella comprensione delle basi genetiche dell'intelligenza, più volte citate dalla comunità scientifica ma mai prima d'ora indagate a fondo.
DUE MACRO GRUPPI. Per Michael Johnson, neurologo e ricercatore dell'Imperial College London, dietro ad abilità come la capacità di pensiero laterale, le doti strategiche di problem solving, la capacità di ridere alle freddure o di risolvere giochi di enigmistica ci sarebbero due network di geni, chiamati M1 e M3, che sarebbero coinvolti anche in malattie dello sviluppo neurologico come l'epilessia, la schizofrenia o i disturbi dello spettro autistico.
Le funzioni di questi gruppi di geni, il primo di circa 1000 elementi, il secondo di oltre un centinaio, non sembrano sovrapporsi e sono comunque ancora da definire con precisione.
UN LUNGO LAVORO. Circa il 40% delle variazioni dell'intelligenza umana - intesa come un insieme composito di diverse abilità cognitive distribuite nella popolazione - è riconducibile a fattori ereditari, ma nessuno si era mai sbilanciato a ipotizzare quali. Per arrivare alle loro conclusioni, i ricercatori britannici hanno individuato le connessioni genetiche tra malattie dello sviluppo neurologico e doti cognitive come memoria e attenzione in 100 cervelli di topo, 122 campioni di cervelli umani e 102 cervelli umani donati post mortem.
UN'ORIGINE COMUNE. I risultati sono stati confrontati con i dati raccolti in due ampi studi storici su un'ampia gamma di abilità cognitive come memoria, attenzione, capacità di ragionamento e velocità di processazione dei calcoli. Queste informazioni, integrate con dati genetici donati da volontari sani, epilettici o con autismo, sono state poi inserite in "cervelloni computerizzati" che hanno dato il verdetto finale: gli stessi geni responsabili dell'intelligenza nei volontari sani, se danneggiati, possono causare le malattie neurologiche citate.
Conoscerli, quindi, potrebbe insegnarci ad agire con precisione sui fattori genetici alla base di questi disturbi, un'eventualità che comunque, per ora, è soltanto teorica.
UNA SPERANZA PER UN (LONTANO) FUTURO. «La cosa più importante è che i geni che abbiamo individuato probabilmente condividono un comune sistema di regolazione, il che significa che, potenzialmente, possiamo manipolare un intero gruppo di geni la cui attività è connessa all'intelligenza umana» dice Michael Johnson, autore della ricerca pubblicata su Nature Neuroscience.
Ma gli scienziati avvertono: se le origini - solo parzialmente - genetiche dell'intelligenza dipendono da un lavoro di squadra, i geni identificati sono solo alcuni dei "giocatori". Resta da capire come collaborino tra loro, quali siano i compagni di squadra e, soprattutto, quali le regole del gioco.
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