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La storia e la geografia del default

La mappa dei Paesi che sono andati in default e un po' di storia.

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In rosso i Paesi che, dal 1800, almeno una volta non sono riusciti a ripianare il debito estero; il colore più scuro indica gli Stati più spesso insolventi; in verde i Paesi che hanno sempre pagato il debito (nessuna insolvenza sovrana); in grigio i Paesi per i quali non sono disponibili dati attendibili. 
Debito pubblico e default. Due parole sulla bocca di tutti fin dal 2008, anno d'inizio della crisi economica mondiale, e sopratutto oggi che la Grecia sembra sul punto di uscire dall'Euro.

Sembrano due prodotti del nostro tempo. Ma non è affatto così: dal 1800, infatti, si sono registrati ben 227 casi di default in tutto il mondo, che sono stati raccolti in un volume da Carmen Reinhart, ricercatrice del prestigioso istituto statunitense Peter G. Peterson Institute for International Economics di Washington e Kenneth Rogoff, docente della Harvard University di Cambridge (Usa) ed ex economista capo presso il Fondo monetario internazionale (Fmi).

DAL ROSSO AL GRIGIO. I Paesi in rosso sulla carta geografica non hanno pagato il loro debito estero almeno una volta dal 1800; in rosso scuro sono riportati gli Stati che hanno più spesso dichiarato bancarotta. In verde sono indicati i Paesi sempre solventi, mentre per i Paesi in grigio non sono disponibili informazioni attendibili. Dal punto di vista statistico, quindi, in oltre due secoli uno Stato non è riuscito a saldare il proprio debito nei confronti di donatori esteri più di una volta all'anno.

Anche Paesi industrializzati come Austria e Germania sono falliti regolarmente, a causa di guerre, cambi di regime o delle relative conseguenze. Si potrebbe pertanto pensare che quella greca sia l'ultima crisi di una lunga serie. Si tratta tuttavia di un caso piuttosto singolare: mai prima d'ora un Paese politicamente stabile in una regione senza conflitti in corso e ricca, quale l'Unione europea, era divenuto insolvente in modo così strisciante e senza condizioni di particolare emergenza.


IL CASO GRECO È DIVERSO. L'insolvenza ha sempre riguardato per lo più Stati meno sviluppati della Grecia, che avevano vissuto a credito e investito troppo, pur essendo economicamente fragili e troppo dipendenti dai donatori stranieri. In Grecia non era questa la situazione di partenza della crisi odierna, ma il Paese ha comunque attraversato gravi depressioni finanziarie in passato: per oltre la metà del periodo successivo all'indipendenza del 1829, lo Stato ellenico è stato considerato non degno di credito a livello internazionale.
IL CASO TEDESCO.  Tra le crisi di default più gravi che la storia ricordi c'è quella della Repubblica di Weimar (1919-33) che ha diversi punti di contatto con la crisi attuale. La Germania uscì sconfitta dalla Prima guerra mondiale e si trovò un debito enorme, imposto dai una commissione internazionale incaricata di occuparsene, ma tutti sapevano fin dall’inizio che quel debito non era pagabile. La storia si sta ripetendo: alcuni Stati dell’eurozona non riescono a saldare i loro debiti internazionali e organismi finanziari esteri sono incaricati di occuparsene a costo di limitare la sovranità nazionale. Al tempo di Weimar, ciò alimentò un pericoloso nazionalismo.

Nel 1923, in Germania, la circolazione di moneta, battuta per poter ripagare il debito di guerra, portò a un'inflazione astronomica.

DA QUANDO C’È IL PROBLEMA DEL DEBITO DI STATO? Secondo l’Economist il default greco ha un precedente storico proprio nell'Ellade:
«I governi hanno una lunga storia di prestiti all’estero e di non rimborso dei loro debiti. Il primo default registrato risale al IV secolo a.C. quando dieci città greche non riuscirono a onorare i prestiti del tempio di Delo»
Il realtà il problema del debito dei Paesi sovrani esite da quando esiste l’attuale sistema economico. Che è relativamente recente: nacque tra la fine del ’600 e i primi anni del ’700, con le rivoluzioni liberali e la fine dell’ancien régime. Prima gli Stati si finanziavano in altri modi.

Fino al XVII secolo, quando i titoli di Stato non esistevano, i sovrani trovavano i soldi necessari, oltre che con le tasse, chiedendo finanziamenti ai banchieri. Si faceva per esempio per pagare i costi di una guerra: se il conflitto era vinto si rimpinguavano le casse del regno e si ripagavano i debiti, se era perso tutti precipitavano insieme verso il fallimento. Così accadde alla Spagna di Filippo II (1527-1598) che si indebitò con i banchieri genovesi, piacentini e soprattutto tedeschi (i Fugger) per finanziare la sua politica, portando il Paese verso la bancarotta.

POI SONO CAMBIATE LE REGOLE... Come spiega Luca Fantacci, docente di Storia economica all’Università Bocconi di Milano e autore con Massimo Amato di Fine della finanza (Donzelli).
«Dopo le rivoluzioni parlamentari del 1649-88 in Inghilterra, i debiti smisero di essere un affare privato del sovrano e divennero un onere di Stato. Nacque così, nel 1694, la Banca d’Inghilterra, primo esempio di banca centrale: faceva prestiti alla Corona emettendo banconote per finanziare commerci, guerre o imprese coloniali. In questo modo il debito pubblico finiva sul mercato, come avviene oggi. Il sistema poi si è esteso anche in altri Stati. E, dopo l’Unità anche da noi: nel 1893 fu istituita la Banca d'Italia».
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