Uno scienziato inglese ha ricostruito un modello del planetario attribuito all'inventore di Siracusa. Con ingranaggi che riproducono l'estrema precisione astronomica descritta nelle fonti antiche.
Michael Wright accanto alla sua invenzione.
Un modello meccanico dell'Universo - un planetario tridimensionale la cui invenzione è attribuita ad Archimede di Siracusa - è stato ricostruito dopo più di due millenni, ed è ora visibile al pubblico.
Michael Wright, matematico ed ex curatore del Museo delle Scienze di Londra, ha riprodotto la celebre "sfera di Archimede", un globo metallico che rappresenta il cielo notturno con il movimento apparente del Sole e il moto della Luna e dei cinque pianeti noti nel III Secolo a.C:: Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno. Dal 27 settembre, l'oggetto è esposto presso il Museo di Arte Antica di Basilea (Svizzera), come parte di una mostra sul relitto di Antikythera.
RACCONTI STORICI. Tra le antiche testimonianze di modelli meccanici della sfera celeste, spesso attribuiti al matematico e inventore siracusano, la più attendibile è quella lasciata da Marco Tullio Cicerone nel I secolo a.C.. Nel De re publica, l'oratore descrive - per bocca di uno dei suoi personaggi, Philus - l'assedio del console romano Marco Claudio Marcello alla città di Siracusa. Durante l'attacco, avvenuto nel 212 a.C., Archimede fu ucciso.
TOCCO DI GENIO. Mentre le truppe romane saccheggiavano la città, Marcello prese per sé solo un tesoro: la sfera di Archimede. Descrivendo il marchingegno, Cicerone fa concludere a Philus che Archimede doveva essere dotato di un ingegno superiore per essere riuscito a riprodurre, con un'unica rotazione, i moti tanto diversi dei vari corpi celesti.
"GEMELLO" STORICO. A lungo gli storici hanno ritenuto la descrizione di Cicerone esagerata o artefatta. Ma il ritrovamento, nel 1902, del meccanismo di Antikythera - un complesso calcolatore astronomico in bronzo di fabbricazione greca, utilizzato per determinare la posizione delle stelle e dei pianeti oltre 2000 anni fa - ha riacceso interesse per la sfera di Archimede, dimostrando come, anche in antichità, fosse possibile realizzare complessi ingranaggi a scopo scientifico.
SOTTIGLIEZZE LINGUISTICHE. Osservando il reperto di Antikythera, costituito da una trentina di ingranaggi in bronzo custoditi all'interno di una scatola di legno (quello che in molti hanno paragonato a un moderno computer) gli scienziati si erano convinti che Cicerone stesse alludendo a un dispositivo simile a quello greco. Ma Wright non la pensa così: Cicerone - fa notare - parla di sphaera. Il meccanismo di Antikythera non è una sfera: è più simile a una scatola per scarpe.
TRE DIMENSIONI. Anche le descrizioni delle rivoluzioni lunari sul planetario riportate da Cicerone fanno pensare a un meccanismo tridimensionale e tutt'altro che "piatto". Il modello ottenuto da Wright somiglia così a una visione "a volo d'uccello" del cosmo, in cui la sfera rappresenta la volta celeste, sulla quale sono raffigurati i simboli delle costellazioni.
IL COSMO, DA FUORI. La sfera si trova in una scatola di legno che nasconde la porzione di volta celeste situata, in un dato momento, sotto l'orizzonte.
In pratica, è una specie di planetario visto da fuori: «Immaginate la Terra come una piccola biglia al suo centro» dice Wright. Con pianeti e costellazioni che "si muovono" attorno ad essa.
MOTI DIVERSI. Ventiquattro ingranaggi interni guidano puntatori curvi di rame da muovere a mano (che rappresentano il moto dei corpi celesti) sulla sfera. Quelli di Sole e Luna si muovono a scatti, a velocità costante, quelli dei pianeti sono più liberi e si spostano a diversa velocità rispetto alle stelle fisse, come avviene nel cielo reale.
IMPRESA POSSIBILE. Non sappiamo se Archimede abbia effettivamente costruito un simile strumento, ma il lavoro di Wright vuole dimostrare che aveva tutte le carte in regola - tecniche e teoriche - per metterlo a punto. Il ritrovamento a Olbia, nel 2006, di una ruota dentata compatibile con un ingranaggio del planetario sferico di Archimede avvalorerebbe questa ipotesi.
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