Un ricercatore irlandese scopre una pericolosa vulnerabilità nel sensore principale delle auto senza conducente: bastano un Arduino e un laser facilmente reperibile online per mettere KO gli occhi elettronici della vettura.
Una delle auto senza autista di Google con il sensore Lidar sul tettuccio: il suo occhio, ma anche il suo punto debole.
Le automobili stanno diventando più intelligenti e - sorpresa! - più vulnerabili. Dopo l’attacco informatico che qualche settimana fa ha messo in ginocchio un SUV americano, a finire nel mirino degli esperti di sicurezza elettronica sono ora la Google Car e altre auto senza conducente.
Jonathan Petit, ricercatore presso Security Innovation è infatti riuscito, utilizzando componenti elettroniche facilmente reperibili sul mercato, a sabotare da remoto il principale sensore di una vettura senza autista. Vediamo come.
UN DITO (ELETTRONICO) NELL'OCCHIO. Petit, utilizzando un laser a bassa energia e un generatore di impulsi realizzato con una scheda Arduino, è riuscito ad accecare il Lidar (light detection and ranging), il sistema che tramite segnali laser permette al computer di bordo della vettura driverless di ricostruire un’immagine 3D dell’ambiente circostante. Si tratta, di fatto, dell’occhio dell’auto ed è una tecnologia utilizzata anche sulla Google Car.
L’arma elettronica di Petit ha un raggio d’azione di circa 100 metri: una volta che ha colpito l'auto fa credere al computer che la guida di vedere oggetti che in realtà non esistono. La macchina rallenta, sbanda e si muove come se ci fosse un ubriaco alla guida.
CERVELLONE IN PANICO. Scondo Petit, che presenterà il suo studio alla prossima Black Hat Europe - una delle più importanti conferenze dedicate al tema della sicurezza digitale - le aziende che producono i Lidar non hanno mai considerato la possibilità di un attacco di questo tipo. E questa vulnerabilità sembra anche in grado di paralizzare il cervello della vettura inviandole in brevissimo tempo migliaia di segnali diversi.
La strada verso l’auto senza conducente è insomma ancora lunga, e prosegue anche grazie al lavoro di esperti come Petit.
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