Passa ai contenuti principali

Antidepressivo per ragazzi, inutile e pericoloso

Una nuova analisi di vecchi dati ribalta le conclusioni cui era giunto uno studio quindici anni fa: oggi sappiamo che la paroxetina non aiuta a trattare la depressione negli adolescenti. E questa retromarcia solleva, ancora una volta, il problema di una valutazione indipendente e "oggettiva" dei risultati dei farmaci.

corbis_42-72940859
«Un farmaco per trattare la depressione è sicuro e può essere usato anche da ragazzi e adolescenti». Contro ordine: «No: non solo non serve a niente, ma può anche essere pericoloso».

Raramente si assiste a un ribaltamento così completo di un’affermazione. È quanto è avvenuto per uno dei farmaci più comunemente usati per trattare la depressione: la paroxetina, appartenente alla classe degli inibitori selettivi del riassorbimento della serotonina.

TESI OPPOSTE. Nel 2001 un importante studio aveva concluso che la molecola poteva essere usata per trattare la depressione anche nei ragazzi, ovviamente un ambito ancora più delicato del disturbo negli adulti: era efficace e ben tollerato.

Ora una nuova analisi degli stessi dati su cui si erano basate quelle affermazioni ha fatto arrivare un gruppo di ricercatori alle conclusioni esattamente opposte. «Né la paroxetina né l’imipramina ad alte dosi (un antidepressivo di vecchia generazione, ndr) si sono dimostrate efficaci per la depressione maggiore negli adolescenti, e per entrambi i farmaci c’è stato un aumento di effetti dannosi» scrivono gli autori in un articolo pubblicato la settimana scorsa sul British Medical Journal.

LO STUDIO ORIGINALE. Come è possibile un simile cambiamento di rotta? La ricerca originale aveva esaminato il trattamento della depressione nel corso di due mesi in tre gruppi di 90 adolescenti ciascuno, che assumevano la paroxetina, una pillola placebo oppure la imipramina, concludendo che anche se non c’erano miglioramenti significativi in base a un questionario classico che misura la depressione, miglioravano altri problemi dell’umore e comunque non c’erano effetti collaterali gravi.

I DATI ORIGINALI. Gli autori della nuova ricerca, tra cui psichiatri che da molto tempo muovono accuse alla sicurezza del farmaco, oltre ai dati su cui si basa lo studio del 2001, hanno scandagliato migliaia e migliaia di pagine di dati medici grezzi e non ancora elaborati. In pratica, sono andati a rileggere non solo i numeri già analizzati, ma i rapporti e le cartelle cliniche su quello che era successo al campione di singoli pazienti aruolati per lo studio. Scoprendo che la scelta su come misurare i miglioramenti, o classificare certi esiti ed effetti collaterali era stata soggetta ad una buona misura di “interpretazione”.
QUESTIONI DI "ETICHETTA". Per esempio, in alcuni casi comportamenti come l’ingestione di intere confezioni di antidolorifici erano stati classificati come “labilità emotiva” e non come veri e propri tentativi di suicidio, che è uno degli effetti collaterali più noti e temuti nelle prime settimane di assunzione di questa classe di antidepressivi. E proprio sulla base di queste diverse etichettature, sia l’efficacia sia la sicurezza dell’antidepressivo erano stati fatti apparire nello studio originale in una luce assai migliore di quanto invece sostiene la nuova analisi.  

INDIPENDENZA. Non sono critiche nuove. Negli Stati Uniti sono state intentate alla casa produttrice del farmaco, la GlaxoSmithKline, cause milionarie per richieste di risarcimento in casi di suicidi o tentati suicidi di adolescenti in cura con questo farmaco, di cui c’era stata un’impennata nelle prescrizioni per gli adolescenti proprio dopo la pubblicazione del primo studio.

La stessa azienda è stata multata per un marketing inappropriato dell’antidepressivo. Ma il caso resta più in generale un ammonimento su quanto sia indispensabile nella ricerca clinica sugli psicofarmaci (e non solo) un’analisi dei dati davvero indipendente.

Commenti

Post popolari in questo blog

CoViD-19: un nuovo studio sui danni cardiaci

  Uno studio denuncia i danni provocati dal virus della covid su colture di cellule cardiache umane: un esperimento di laboratorio che deve però essere verificato. La CoViD-19, da tutti nota per essere una patologia polmonare, causerebbe anche danni al cuore: su questo aspetto della malattia, ancora poco noto e sul quale si sta  ancora studiando , indaga  uno studio preliminare , non ancora verificato in peer review, ma «dovevo pubblicare ciò che ho scoperto!», ha dichiarato Todd McDevitt, uno degli autori della ricerca. Gli esperimenti effettuati in vitro dai ricercatori restituiscono un quadro poco roseo: il SARS-CoV-2, il coronavirus che causa la covid, danneggerebbe le fibre muscolari che permettono al cuore di battere, fino a  ridurle in pezzettini . «Una carneficina di cellule umane», l'ha definita Bruce Conklin, uno degli autori. MUSCOLI SOTTO ATTACCO.  È importante sottolineare che  lo studio è stato effettuato su campioni di cellule in vitro . I ricercatori hanno analizzat

Le idee di Darwin per rigenerare le foreste

  Più di un secolo fa, Darwin suggerì un metodo alternativo per ripiantare le foreste, e ora lo stiamo finalmente ascoltando.     La foresta di Białowieża, in Polonia.  L'origine delle specie  è uno dei libri più famosi, influenti e importanti dei nostri tempi – un'osservazione forse non particolarmente originale, ma indiscutibile. Il saggio di  Charles Darwin  pubblicato nel 1859 ha cambiato il nostro modo di vedere il mondo e soprattutto i viventi, e contiene una quantità infinita di idee e spunti che sono stati poi approfonditi nei successivi 150 anni, andando a costituire la base della teoria evoluzionistica (e non solo). RIFORESTAZIONE E GAS SERRA.  Si tratta di un libro talmente denso che ancora oggi, rileggendolo, scopriamo passaggi illuminanti: è quanto raccontano su  The Conversation  Rob MacKenzie e Christine Foyer dell'Università di Birmingham, che si occupano rispettivamente di atmosfera e di piante. I due docenti raccontano che  L'origine delle specie  cust

Dengue, aumentano i casi in Italia: da dove arriva e perché sta crescendo il virus delle zanzare

Sono 500 i casi di Dengue confermati nel nostro Paese da gennaio 2024. Il maxi focolaio di Fano con oltre 100 contagi fa temere un'ulteriore diffusione.     Sangue in provetta L'aumento vertiginoso dei casi di  Dengue  – infezione trasmessa dalle zanzare del genere  Aedes , come la zanzara tigre – fa salire l'attenzione su una malattia che l'Oms aveva già inserito tra le  10 minacce per la salute globale  ancor prima dell'ondata epidemica attuale. I timori si alimentano anche in Italia, con il recente focolaio scoppiato a Fano, nelle Marche, che finora registras 102 casi accertati e altri dieci probabili.   Già il 2023 era stato un anno record, con oltre  6 milioni di contagi  e casi autoctoni registrati anche in zone, come l'Europa e l'Italia, in cui la malattia non è normalmente presente (ma è a volte diagnosticata nei viaggiatori provenienti da aree a rischio). Tuttavia, le cifre relative ai primi mesi del 2024 sono state capaci di sbriciolare quel record