Passa ai contenuti principali

Videogiochi e Alzheimer: un legame da studiare meglio

Uno studio ha suggerito la possibilità che chi gioca ai videogame sia a maggiore rischio di malattie neurologiche: una affermazione probabilmente prematura.

Immagine del videogame Call of Duty

Chi gioca abitualmente con i videogiochi migliora le sue capacità di attenzione, ma (forse) utilizza il suo cervello in un modo che lo renderebbe più suscettibile a sviluppare disturbi neurologici come il morbo di Alzheimer. È quanto emerge da uno studio pubblicato suiProceedings of the Royal Society B che ha confrontato un gruppo di giocatori abituali di videogames con un gruppo di non giocatori.

PREOCCUPAZIONI FONDATE? La ricerca, svolta da studiosi delDouglas Mental Health University Institute in Canada, è stata ampiamente riportato sui media, e ha suscitato molta eco proprio per il richiamo a un passatempo apparentemente innocuo in associazione a una malattia grave come l’Alzheimer. Cerchiamo di fare un po' di chirezza per evitare falsi allarmismi.

I FATTI. In realtà, quello che i ricercatori canadesi hanno fatto nel loro studio è questo: hanno confrontato le strategie cognitive utilizzate da 59 persone (26 adulti che giocavano almeno sei ore a settimana con videogames d'azione, con una media di 18, e 33 che non li utilizzavano) nell’affrontare un compito di realtà virtuale che consisteva nell’orientarsi in un labirinto.


Nel numero 272 di Focus, in edicola fino al 20 giugno vi raccontiamo il legame che esiste tra Alzheimer e diabete e come (e perché) un'alimentazione corretta aiuta ad abbassare il rischio di ammalarsi del terribile morbo. Focus lo trovi sempre sulla nostra App Focus Italia (iOS - Android - Amazon - Zinio (web)). E per non perderti nessun numero abbonati qui.

Oltre alle migliori capacità di attenzione degli appassionati di videogiochi, è emerso che la maggioranza di coloro che vi si dedicavano abitualmente utilizzava per orientarsi nel labirinto virtuale una strategia di apprendimento “automatica” e basata su una parte del cervello nota come “striato” mentre chi non giocava si affidava di più alla memoria spaziale, che fa riferimento soprattutto all’ippocampo.

CONCLUSIONI PREMATURE.Gli studiosi hanno fatto notare che studi svolti in precedenza hanno più volte associato l’utilizzo prevalente dello striato a una minore quantità di materia grigia nell’ippocampo, che a sua volta è stata associata a un maggior rischio di disturbi neurologici e psichiatrici in età avanzata.

Potrebbe significare che i videogiochi comportano un utilizzo del cervello che aumenta il rischio di sviluppare da vecchi il morbo di Alzheimer?
Quale sia l’effetto dei videogiochi sul cervello è in realtà un argomento di studio “caldo”, considerato che un ragazzo può arrivare ai 21 anni avendo già passato 10mila ore di fronte agli schermi dei videogames. Come fanno notare alcuni, per esempio, questo articolo sul Guardian, il legame trovato finora è però davvero molto tenue.

Commenti

Post popolari in questo blog

CoViD-19: un nuovo studio sui danni cardiaci

  Uno studio denuncia i danni provocati dal virus della covid su colture di cellule cardiache umane: un esperimento di laboratorio che deve però essere verificato. La CoViD-19, da tutti nota per essere una patologia polmonare, causerebbe anche danni al cuore: su questo aspetto della malattia, ancora poco noto e sul quale si sta  ancora studiando , indaga  uno studio preliminare , non ancora verificato in peer review, ma «dovevo pubblicare ciò che ho scoperto!», ha dichiarato Todd McDevitt, uno degli autori della ricerca. Gli esperimenti effettuati in vitro dai ricercatori restituiscono un quadro poco roseo: il SARS-CoV-2, il coronavirus che causa la covid, danneggerebbe le fibre muscolari che permettono al cuore di battere, fino a  ridurle in pezzettini . «Una carneficina di cellule umane», l'ha definita Bruce Conklin, uno degli autori. MUSCOLI SOTTO ATTACCO.  È importante sottolineare che  lo studio è stato effettuato su campioni di cellule in vitro . I ricercatori hanno analizzat

Le idee di Darwin per rigenerare le foreste

  Più di un secolo fa, Darwin suggerì un metodo alternativo per ripiantare le foreste, e ora lo stiamo finalmente ascoltando.     La foresta di Białowieża, in Polonia.  L'origine delle specie  è uno dei libri più famosi, influenti e importanti dei nostri tempi – un'osservazione forse non particolarmente originale, ma indiscutibile. Il saggio di  Charles Darwin  pubblicato nel 1859 ha cambiato il nostro modo di vedere il mondo e soprattutto i viventi, e contiene una quantità infinita di idee e spunti che sono stati poi approfonditi nei successivi 150 anni, andando a costituire la base della teoria evoluzionistica (e non solo). RIFORESTAZIONE E GAS SERRA.  Si tratta di un libro talmente denso che ancora oggi, rileggendolo, scopriamo passaggi illuminanti: è quanto raccontano su  The Conversation  Rob MacKenzie e Christine Foyer dell'Università di Birmingham, che si occupano rispettivamente di atmosfera e di piante. I due docenti raccontano che  L'origine delle specie  cust

Le nuove immagini della nebulosa dell'Aquila

Li chiamano i pilastri della creazione, perché là stanno nascendo nuove stelle e quindi nuovi pianeti. Sono alcune parti della nebulosa dell'Aquila. Il telescopio Hubble li ha fotografati più volte, la prima volta nel 1995. E ora a 20 anni di distanza le nuove foto sono davvero bellissime. E spiegano che cosa sta succedendo in una nursery stellare. Per festeggiare i suoi primi 25 anni di lavoro ( l'anniversario sarà il 24 aprile ),  il telescopio Hubble ha scattato una nuova immagine dei cosidetti  "Pilastri della Creazione"  che si trovano nella Nebulosa dell'Aquila e che furono fotografati per la prima volta nel 1995. La prima foto delle tre enormi e dense colonne di gas e polvere interstellari che racchiudono migliaia di stelle in formazione, è stata giustamente definita una delle 10 migliori immagini scattate da Hubble (vedi gallery sotto). Ma non è soltanto magnifica: ha contribuito ad aumentare notevolmente la nostra comprensione dei fenomeni di