Prima che le macchine insorgano contro l'uomo, devono imparare ad aprire le porte. I concorrenti in gara alla DARPA Robotics Challenge fanno sperare in un futuro in cui uomo e robot siano (almeno) amici.
Uno dei protagonisti di Terminator Genisys (2015).
Stephen Hawking lo dice da tempo. Gli fanno eco Bill Gates ed Elon Musk e, se siete stati recentemente al cinema, potreste esserne ormai convinti anche voi: non è poi così lontano il giorno in cui le macchine svilupperanno un'intelligenza tale da eguagliare - se non sopraffare - l'uomo.
Uno dei protagonisti di Terminator Genisys (2015).
Stephen Hawking lo dice da tempo. Gli fanno eco Bill Gates ed Elon Musk e, se siete stati recentemente al cinema, potreste esserne ormai convinti anche voi: non è poi così lontano il giorno in cui le macchine svilupperanno un'intelligenza tale da eguagliare - se non sopraffare - l'uomo.
Nessuno vuole mettere in discussione i progressi recenti nel campo dell'intelligenza artificiale (alcuni dei quali piuttosto impressionanti). Ma prima di sognare gli scenari evocati dai film Ex Machina (2015) oHumandroid (2015) sarà bene seguire le gare dei robot iscritti alla Robotics Challenge, la competizione indetta dalla DARPA (l'agenzia del Pentagono incaricata dello sviluppo di nuove tecnologie militari) per testare lo stato dell'arte dell'industria robotica mondiale.
SI SALVI CHI PUÒ. Il contest che si terrà a Pomona (California) tra il 5 e il 6 giugno, premierà con 2 milioni di dollari il robot che sappia svolgere meglio e più velocemente una serie di compiti di salvataggio. Ma stando a un articolo pubblicato sul New York Times, che ha raccolto le prime impressioni degli inventori, dalla scorsa edizione (dicembre 2013) non ci sono stati grossi passi avanti.
Già allora, i robot - legati a fili di sicurezza e posizionati sul percorso dall'uomo - si erano cimentati in manovre come aprire porte, liberare il percorso dai detriti o salire le scale con una lentezza esasperante: uno spettacolo eccitante quanto "guardare la vernice che asciuga", o "osservare l'erba che cresce" (erano gli entusiastici commenti dei reporter presenti all'evento).
IL BRACCIO E LA MENTE. Quest'anno, i robot avranno un'ora di tempo per completare otto compiti che un essere umano concluderebbe in 10 minuti. A interessare, dunque, non sarà la velocità ma la capacità di collaborare con gli esseri umani - che li comanderanno comunque da remoto - formando una squadra vincente.
AMICI PER FORZA. Proprio la collaborazione tra uomo e macchina sembra essere la strada su cui si sta muovendo la robotica vera (non quella dei film di fantascienza). «Senza le persone, queste macchine non saprebbero fare nulla», spiega Gill Pratt, responsabile presso la DARPA della competizione. «Negli ultimi cinque anni sono stati compiuti straordinari progressi nella percezione delle macchine, ma non nella cognizione», l'insieme di processi decisionali e di programmazione che renderebbero i robot realmente autonomi.
La sottile seduzione robot di Ex Machina (2015) è ancora ben lontano dagli scenari reali.
Più complessi sono i compiti richiesti a un automa, più questo avrà bisogno di aiuto da parte dell'uomo. Rispetto a un robot di salvataggio, la Google car deve fare un lavoro piuttosto semplice: procedere lungo la strada evitando gli ostacoli (che rileva grazie a sensori, ma non valuta - nel senso più umano del termine). Ma robot più simili all'uomo sono - paradossalmente - ancora più dipendenti da chi li ha creati. Lo scenario che si prospetta è quindi quello di un'amicizia tra uomo e macchine.
SE IL SOFTWARE "CI PROVA". Quelli di Google ci stanno lavorando. In un'intervista al Guardian Geoff Hinton, programmatore e psicologo cognitivo, nonché tra i massimi esperti mondiali di intelligenza artificiale (AI), ha raccontato di essere al lavoro, per Google, su un nuovo tipo di software capace di conversare, sostenere un ragionamento e persino flirtare con l'uomo (un po' come avviene nel film Her).
Più che amici: una scena del film Her (Lei), del 2013.
Alla base ci sarebbe un algoritmo (uno schema di calcolo) capace di tradurre i pensieri in sequenze numeriche incasellate all'interno di spazi virtuali, che instaurino l'una con l'altra la stessa relazione logica presente tra le parole di una frase (teoria dei vettori di pensiero). Lo scopo è ricreare macchine capaci di mimare il senso comune, limitate, comunque, dal - pur ricco che sia - numero limitato di possibili risposte per cui sono state programmate.
Intelligenti è, comunque, un termine ancora troppo audace. Simili software, spiega Hinton, non capirebbero per esempio l'ironia (che presume comprensione di sfumature e doppi sensi). E se dovessero flirtare con l'uomo, ci andrebbero giù un po' pesanti. Ma forse, per la nostra incolumità, è meglio così.
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