Un imponente studio statistico mette in discussione alcuni effetti negativi del global warming, sostenendo che il gelo uccide 20 volte di più delle ondate di calore. Ma il dibattito rimane aperto.
Il freddo uccide 20 volte di più del caldo: a sostenerlo è una ricerca internazionale pubblicata sulla prestigiosa rivista The Lancet. La conclusione cui sono giunti gli scienziati non rappresenta una novità in senso assoluto, ma è la prima volta che a sostegno di questa tesi viene presentata una mole di dati così imponente: sono stati infatti presi in esame 74 milioni di decessi in 12 diversi Paesi.
Il lavoro dei ricercatori riporta al centro dell'attenzione un tema molto dibattuto negli ultimi anni, anche attraverso le tesi controverse dell'ambientalista danese Bjørn Lomborg, secondo cui i rischi del riscaldamento globale (global warming) per la salute dell'uomo sarebbero stati ampiamente sovrastimati.
PIÙ FREDDO CHE CALDO. «Sì dà spesso per scontato che le temperature eccezionali causino la maggior parte dei decessi, e quasi tutte le precedenti ricerche erano focalizzate sugli effetti delle ondate estreme di calore», spiega un coautore della ricerca, Antonio Gasparrini, della London School of Hygiene & Tropical Medicine. «I nostri risultati, che derivano dall'analisi del più grande set di dati di sempre sull'argomento, mostrano che la maggioranza delle morti si verificano in realtà nelle giornate moderatamente calde o fredde, con la maggior parte dei decessi determinati da temperature moderatamente fredde.»
I NUMERI. La ricerca analizza i dati di 74.225.200 di decessi avvenuti tra il 1985 e il 2012 in regioni dai climi più disparati, che spaziano dal freddo polare al caldo subtropicale. Le informazioni raccolte coinvolgono 384 località distribuite tra Australia, Brasile, Canada, Cina, Italia, Giappone, Corea del Sud, Spagna, Svezia, Taiwan, Thailandia, Regno Unito e Stati Uniti.
IL METODO. Avvalendosi di un metodo statistico, i ricercatori hanno utilizzato i valori della temperatura giornaliera media, i tassi di mortalità e le variabili estranee (cioè quelle che confondono le stime, come l'umidità e l'inquinamento atmosferico) per identificare la "temperatura ottimale", ovvero quella in cui si registra la mortalità minima, e quantificare di conseguenza i decessi causati dalle temperature non ottimali nelle varie aree. Il calcolo ha permesso dimisurare il contributo di caldo e freddo, distinguendo tra sbalzi estremi e variazioni moderate.
I RISULTATI. Il 7,71% di tutti i decessi risulta correlato a temperature non ideali, con percentuali differenti a seconda della nazione. Si va dal 3% di Thailandia, Brasile e Svezia all'11% di Cina, Italia e Giappone. La fetta più grande di queste morti (il 7,29%) è correlabile al gelo, mentre solo lo 0,42% è attribuibile agli sbalzi di calore.
Lo studio ha messo in luce che gli eventi climatici estremi sono fatali circa nell'1% dei casi, mentre tutti i restanti decessi sono connessi a mutamenti di temperatura più contenuti. Nello specifico il freddo moderato genera il 6,66% dei morti totali.
UN PROBLEMA MOLTO PIÙ AMPIO. Secondo Gasparrini «nella sanità pubblica le politiche sono finalizzate quasi esclusivamente a ridurre le conseguenze per la salute delle ondate di calore. Le nostre scoperte suggeriscono che bisogna ripensare a queste misure e allargarle tenendo dei molteplici effetti associati alle variazioni di temperatura».
IPOTESI CONTROVERSA. L'articolo accademico pubblicato su The Lancet è destinato a suscitare reazioni contrastanti, in quanto mette in discussione l'impatto negativo diretto del riscaldamento globale sulla salute dell'uomo e, più in generale, sull'economia. A tale proposito, uno dei nomi più noti nel partito degli scettici rimane quello dell'accademico Bjørn Lomborg, ex attivista di Greenpeace divenuto famoso in tutto il mondo per aver scritto nel 2001 il bestsellerL'ambientalista scettico (Time lo ha definito a suo tempo «una delle 100 persone più influenti del mondo»).
Lomborg, che per le sue idee è stato al centro di molte critiche da parte della comunità scientifica, afferma in sostanza che le previsioni catastrofiche degli ambientalisti sono in parte infondate. Una delle sue tesi, ad esempio, è che l'aumento di temperatura farà diminuire il numero di morti per assideramento, superando in termini di benefici la quantità di decessi per siccità. L'intellettuale danese, che non ha mai negato l'esistenza del riscaldamento globale, teorizza che la salvaguardia del pianeta passi attraverso la ricerca scientifica e la lotta alla povertà, piuttosto che per costose (e a suo dire inefficaci) politiche finalizzate alla riduzione della CO2.
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