È ora di aggiornare l'elenco dei gusti che possiamo percepire: va incluso anche quello del grasso. Una scoperta importante per fare chiarezza sulle cause dell'obesità.
Dal gennaio dei buoni propositi al dicembre degli stravizi: l'andamento tipico del nostro consumo di grassi.
Dolce, salato, aspro, amaro, umami: sulla lista dei gusti che possiamo percepire siamo preparati - o almeno, credevamo di esserlo. Secondo un nuovo studio australiano ce ne sarebbe un altro da aggiungere: quello del grasso.
In base alla ricerca della Deakin University di Melbourne, pubblicata sulla rivista scientifica Flavour Journal, ci sarebbero tutti gli elementi per "promuovere" il grasso a sesto gusto fondamentale percepito dalle cellule recettrici del cavo orale umano. Una scoperta che oltre ad arricchire i libri di scuola potrebbe essere utile nella lotta all'obesità.
CONCETTO ANTICO. La classificazione del grasso come gusto primario è diffusa fin dai tempi di Aristotele (330 a.C.). Ma più recentemente la sua percezione è stata messa in relazione a elementi diversi, come la struttura (texture) più o meno oleosa dei cibi, la modalità di rilascio del sapore e le proprietà termiche di ogni boccone.
CRITERI DI INCLUSIONE. Fino al 2002, i gusti riconosciuti erano 4: poi è arrivato l'umami, il sapore di glutammato tipico di cibi ricchi di proteine (come alcune pietanze asiatiche). Ma è di nuovo ora di aggiornare la lista. Per gli autori dello studio, il grasso avrebbe tutte le carte in regola per essere considerato gusto: tra queste ci sono la presenza sulla lingua di papille gustative specializzate nella sua ricezione, afferenti a fibre nervose che comunicano questa percezione a regioni cerebrali specializzate.
SOGLIE DI SENSIBILITÀ. Lo studio potrebbe gettare nuova luce sulla ricerca delle cause dell'obesità. Precendenti ricerche dello stesso gruppo di lavoro hanno dimostrato che chi è più sensibile al grasso tende a consumare meno cibi che lo contengono. «Affinché le persone sovrappeso o obese riescano a identificare il grasso nei cibi, dobbiamo metterne molto di più nei campioni sperimentali» spiega Russell Keast, autore dello studio.
SANO, E GHIOTTO. La scoperta potrebbe aiutare a confezionare alimenti poveri di grassi che abbiano maggiore successo rispetto al passato. «Non si può pensare di rimuovere semplicemente il grasso da un cibo e rimpiazzarlo con componenti dalla stessa consistenza se non si sostituisce la componente gustativa, che porta con sé tutti gli altri effetti psicologici e fisiologici importanti per il gradimento del cibo».
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