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Il vagito del magnetar è un lunghissimo lampo gamma

Un team internazionale di scienziati tra cui ricercatori italiani e dell’INAF, presenta per la prima volta, in un articolo sulla rivista Nature, il legame tra un lampo di raggi gamma durata assai a lungo e l'esplosione di una supernova luminosissima. Dall'eccezionale evento si sarebbe prodotta una stella di neutroni "super magnetica" e in rapidissima rotazione

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Visione artistica di un magnetar.
Per produrre un lampo di raggi gamma estremo come GRB111209A, durato oltre tre ore contro una media di qualche decina di secondi al massimo, ci vuole un "motore" altrettanto estremo: una stella di neutroni, dove una quantità di materia pari a quella del nostro Sole è compressa in una sfera del raggio di appena 10 chilometri.

Ma non basta: essa, rispetto alle tipiche stelle di neutroni, è dotata di un campo magnetico cento volte maggiore (centomila miliardi di gauss, ovvero circa trecentomila miliardi di volte il campo magnetico terrestre) e di una velocità di rotazione di appena qualche millesimo di secondo.

Un simile mostro prende il nome di magnetar. Queste le conclusioni di un lavoro condotto da un team internazionale di scienziati guidati da Jochen Greiner del Max-Planck Institute for Extraterrestrial Physics in Germania e a cui hanno partecipato ricercatori italiani e dell’INAF, pubblicato nell’ultimo numero della rivista Nature.

LAMPO LUNGO. La scoperta del GRB111209A nel dicembre del 2011 grazie al satellite Swift fece scalpore tra gli astrofisici, in quanto la sua durata era incomparabilmente maggiore di tutti gli altri lampi di raggi gamma classificati come "lunghi", che si attestano tra qualche secondo e qualche minuto. Tanto da farlo diventare il prototipo di un nuovo gruppo di GRB, quelli "ultra-lunghi".

Le analisi condotte sulla radiazione emessa a lunghezze d’onda che vanno dai raggi X fino alle onde radio, condotte in sinergia con strumenti da terra e dallo spazio, hanno rivelato che l’esplosione è avvenuta a una distanza di 8 miliardi di anni luce rilasciando un’energia sterminata: un miliardo di miliardi di miliardi di volte quella consumata in un anno da tutta la popolazione della Terra. Ma hanno rivelato un altro sorprendente evento: oltre al lampo di raggi gamma, la camera GROND installata al telescopio da 2,2 metri dell’ESO a La Silla sulle Ande cilene ha catturato, nella luce visibile e nell’infrarosso, la tipica curva di luce dell’esplosione di una supernova. Un’accoppiata alquanto rara quella con un GRB: in media una ogni più di cento supernovae osservate.

Lo spettrografo X-shooter installato al Very Large Telescope. | ESO
L’evento è stato particolarmente luminoso, e la sua intensità si va a collocare esattamente a cavallo tra quella di una tipica esplosione di supernova e quella di una supernova “super luminosa”, una classe di esplosioni stellari particolarmente energetiche scoperte di recente.
 
«Questo è il primo evento di supernova associato ad un lampo di raggi gamma ultra lungo» commenta Elena Pian, ricercatrice dell’INAF attualmente in forza presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, che ha partecipato allo studio. «Questa scoperta elimina in un colpo solo tutti i modelli che cercavano di spiegare i GRB così prolungati».

SUPERNOVA LUMINOSISSIMA. Le indagini condotte grazie ai dati spettroscopici raccolti con un altro strumento di punta dell’ESO, lo spettrografo X-Shooter installato al Very Large Telescope hanno certificato che la supernova, denominata SN2011kl, mostra caratteristiche simili a quelle registrate nelle supernovae super luminose e possiede un basso contenuto di nichel 56, un elemento radioattivo che, decadendo, emette gran parte della luminosità in un evento di supernova.

«Queste accurate misure ci permettono di ritenere che la formazione di un magnetar dopo l’esplosione di una supernova sia lo scenario più plausibile per descrivere cosa ha generato il lampo di raggi gamma» prosegue Elena Pian. «La quantità di nichel 56 è insufficiente per produrre la luminosità intrinseca della supernova che abbiamo dedotto dalle osservazioni. Anche l’ipotesi che questa luminosità derivi dall’accrescimento di materia su un buco nero formatosi dal collasso della stella esplosa non è verosimile poiché, per generare tanta radiazione e per così lungo tempo come nel GRB111209A, il buco nero stesso avrebbe dovuto ingurgitare qualcosa come 100 masse solari, ma la stazza iniziale della stella non doveva superare di molto le 20 masse solari. Un tipico magnetar ha invece proprio l’energia totale che noi abbiamo ricavato per l’esplosione della supernova SN2011kl.

Le osservazioni e le misure raccolte per questo evento ci fanno ritenere che i GRB ultra lunghi possono testimoniare la nascita di un magnetar».
Nel team che ha condotto lo studio, oltre a Elena Pian hanno partecipato anche i ricercatori italiani Andrea Rossi (Thüringer Landessternwarte Tautenburg, Germania e INAF-IASF Bologna), Paolo Mazzali (Astrophysics Research Institute, Liverpool, Regno Unito e Max-Planck-Institut für Astrophysik, Garching, Germania, associato INAF) e Sandra Savaglio (Max-Planck-Institut für Extraterrestrische Physik, Garching, Germania e Università della Calabria)

A cura di  Marco Galliani (INAF)

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