L'eruzione del supervulcano Tambora ha cambiato la Storia, trasformando la probabile vittoria di Napoleone a Waterloo nella sua definitiva sconfitta.
La bataille de Waterloo, olio su tela di Clément-Auguste Andrieux (1850 circa). Molti dei dipindi sulle giornate di Waterloo mostrano il cielo scuro, nero per le polveri sollevate dagli spari, dalle esplosioni e dai movimenti delle truppe in campo, ma anche carico di nuvole in quell'estate fredda e piovosa - compromessa dalle ceneri eruttate un paio di mesi prima dal vulcano Tambora e, prima ancora, da altre due violente eruzioni.
Alla fine di febbraio del 1815 Napoleone Bonaparte fuggì dall’isola d’Elba, dov'era stato esiliato dopo la sconfitta di Lipsia e l'abdicazione. Il 20 marzo, alla testa di un nuovo esercito, rientrava trionfalmente a Parigi. Le grandi potenze erano però determinate a impedire ogni ipotesi di una nuova espansione della Francia - anche se in realtà Napoleone chiese un trattato di pace.
La battaglia decisiva, a conclusione dei cosiddetti Cento Giorni, si svolse nelle campagne del Belgio, vicino a Waterloo, tra il 16 e il 18 giugno del 1815: da una parte i 400.000 francesi al comando di Napoleone, dall'altra un milione di uomini tra olandesi, inglesi e prussiani, guidati da Lord Wellington. Napoleone era uno stratega formidabile e all'inizio sembrò avere la meglio, ma nella notte precedente allo scontro che si rivelò definitivo, tra il 17 e il 18 giugno, si scatenarono fortissimi temporali. Il terreno si trasformò in un acquitrino e in una trappola per l'artiglieria e la cavalleria dell'imperatore, e questo contribuì alla sconfitta dei francesi. Un capriccio del tempo mise fine (per sempre) alle ambizioni dell'uomo che voleva unificare l'Europa sotto la bandiera della Francia. Ma è stato per davvero solo un "capriccio", quello del tempo?
Prussian Attack at Plancenoit, olio su tela di Adolph Northen (1863 circa). Waterloo: i prussiani sfondano le linee francesi a Placenoit. Che cosa sarebbe successo all'Europa che conosciamo se Napoleone avesse vinto a Waterloo?
DEUX MOIS AVANT (due mesi prima). Le piogge torrenziali di quei giorni erano una delle conseguenze di un fatto avvenuto nell'aprile del 1815 nella lontana isola indonesiana di Sumbawa: l'eruzione del vulcano Tambora, che uccise - riportano le cronache - tra 60 e 100.000 persone.
Quell'eruzione seguiva quella di altri vulcani (ai Caraibi nel 1812 e nelle Filippine nel 1811): l'insieme delle ceneri lanciate in atmosfera causarono un drammatico cambiamento climatico e gettarono mlte regioni della Terra in una serie di anni senza estate, freddi e piovosi, e il 1815 fu uno dei peggiori.
Matthew Genge, del dipartimento di scienze della Terra dell’Imperial College di Londra, ha scoperto che l'enorme volume di ceneri vulcaniche elettrizzate di quella e delle precedenti violente eruzioni può avere "cortocircuitato" la corrente elettrica della ionosfera, il livello superiore dell'atmosfera, responsabile anche della formazione di certe nubi, e avere avuto su di essa un’influenza tale da modificare profondamente anche la piovosità su vaste aree del pianeta.
Matthew Genge dimostra col suo studio, pubblicato su Geology, che un'eruzione particolarmente violenta può lanciare cenere in atmosfera fino a 100 chilometri di altezza, ossia molto più in alto di quanto si pensava (30-40 chilometri). Inoltre, lo studio conferma la relazione - già suggerita in passato - tra gli effetti globali dell'eruzione del Tambora (le avverse condizioni atmosferiche) e la sconfitta di Napoleone a Waterloo.
Isola di Sumbawa, Indonesia: ciò che resta del cono del vulcano Tambora, una caldera di 6 km di diametro. In tre mesi di eruzioni il vulcano passò da 4.100 metri di altezza a 2.850 metri.
LE CONSEGUENZE DELLA CENERE. Le forze in grado di spingere la cenere così in alto sono quelle elettrostatiche, ossia forze elettriche, che agiscono su particelle più piccole di 0,2 milionesimi di metro con maggior intensità rispetto alla forza gravitazionale (che tenderebbe a farle precipitare). Matthew Genge ha studiato il comportamento delle ceneri "elettrizzate" grazie a complessi modelli matematici e ha poi cercato conferme (trovandole) nei dati meteorologici raccolti in concomitanza di un’altra grande eruzione, quella del vulcano indonesiano Krakatoa del 1883 - perché i dati meteorologici del 1815 sono troppo sporadici e mal raccolti per essere utilizzati a fini statistici. Nel caso del Krakatoa Matthew Genge ha scoperto che le piogge globali subito dopo l’eruzione sono state inferiori rispetto alle medie, ma più abbondanti pochi mesi dopo.
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