Siccità, nebbia, tempeste, fulmini e tornado. Focus Storia racconta come anche il cattivo tempo può aver influito sull'esito di piccole battaglie e grandi guerre.
Lo sbarco delle forze alleate in Sicilia nel luglio del 1943.
Grandi condottieri, epiche battaglie, letali epidemie e devastanti terremoti hanno senza dubbio influenzato il destino delle grandi civiltà. Tuttavia, c’è un altro fattore che ha condizionato il corso degli eventi: i capricci del tempo. Possibile che temporali e nebbia abbiano plasmato la Storia più di quanto non abbiano fatto Giulio Cesare o Napoleone? Forse sì, come testimoniano questi esempi.
Il mosaico del Nilo conservato al Museo Archeologico Nazionale di Palestrina.
1. IL NILO DEI FARAONI. L’unificazione dell’Antico Egitto avvenne intorno al 3000 a.C. e negli otto secoli successivi il regno si consolidò e raggiunse il suo massimo splendore. Tuttavia il potere dei faraoni era sempre legato al Nilo: solo grazie ad abbondanti raccolti potevano mantenere una corte sfarzosa, un potente esercito e i lavoratori necessari alla costruzione delle piramidi. E, confortati dalle regolari piene del Nilo (sopra, nel mosaico di Palestrina del I sec. a.C.), i faraoni alimentarono la credenza secondo cui loro soltanto, come vere divinità, potevano controllarne le inondazioni. Fu anche per questo che in soli 20 anni, tra il 2180 e il 2160 a.C., l’Antico regno crollò.
ALLARME SICCITÀ. Dopo secoli di abbondanza le piene del Nilo si fecero all’improvviso scarse, causando una carestia che innescò tumulti popolari e disgregò lo Stato. Tutta colpa dei bruschi cambiamenti della circolazione atmosferica che, per decenni, resero più deboli e irregolari i monsoni che portavano abbondanti piogge sull’Altopiano etiopico, dove nasce il Nilo azzurro. Ci volle un secolo perché la situazione politica e sociale in Egitto tornasse stabile. Ma ormai, traditi dalle piene del Nilo, i faraoni avevano perso l’aura divina.
2. TEODOSIO, L’IMPERO E LA BORA. Nel 394 in Slovenia si consumò la scontro decisivo per il trono dell’Impero romano: da una parte le truppe di Teodosio, già imperatore d’Oriente, dall’altra l’esercito di Flavio Eugenio, usurpatore dell’Impero d’Occidente. La battaglia finale, detta Battaglia del Frigido, venne combattuta il 6 settembre, ma l’esito decisivo fu determinato dalla bora che cominciò a soffiare all’improvviso, dando manforte ai soldati di Teodosio che si trovarono a favore di vento, mentre le truppe di Flavio Eugenio lottarono contro forti raffiche contrarie.
I dardi scagliati dagli arcieri di Teodosio, spinti da venti a oltre 100 km orari, si abbatterono sulle truppe nemiche; al contrario, le legioni dell’usurpatore, respinte dal vento, non riuscirono ad avanzare. Grazie alla bora Teodosio divenne l’unico imperatore. Tuttavia lo stesso vento che gli aveva dato la vittoria gli tirò uno scherzo beffardo: le gelide folate cui era stato esposto durante la battaglia gli causarono una grave forma di polmonite che pochi mesi dopo lo portò alla morte.
3. LA GUERRA DELLE DUE ROSE NELLA NEBBIA. Nel XV secolo gli York e i Lancaster si contesero il trono d’Inghilterra nel corso di una lunga e sanguinosa guerra civile passata alla Storia come la Guerra delle Due Rose. Il 13 aprile 1471 gli opposti eserciti si fronteggiarono a Barnet, in una regione paludosa a poca distanza da Londra, e a decidere l’esito dello scontro fu una fitta nebbia.
Durante la fase più cruenta della battaglia il conte di Oxford, al comando della cavalleria dei Lancaster, decise infatti di buttarsi nel centro della battaglia ma, a causa della nebbia, sbagliò direzione e si lanciò al galoppo verso il grosso delle truppe amiche comandate dal marchese di Montagu che, sciaguratamente, a causa della scarsa visibilità confuse l’emblema del conte di Oxford, fatto di stelle e raggi, con il sole degli York.
FUOCO AMICO. Le conseguenze di quel malinteso furono disastrose: Montagu ordinò agli arcieri di scaricare una pioggia di frecce contro quello che credeva essere un assalto del nemico. I cavalieri del conte di Oxford, pensando a un tradimento, si gettarono contro le truppe di Montagu, dando avvio a un massacro fratricida. Così a causa della nebbia la battaglia di Barnet per i Lancaster fu una vera e propria disfatta.
4. IL TEMPORALE CHE SCONVOLSE LA CHIESA. Nel 1517 Martin Lutero affisse sul portone della chiesa di Wittenberg una pergamena contenente le 95 Tesi di Lutero, un’aspra critica a papa Leone X e alla politica delle indulgenze, dando avvio alla Riforma protestante. Tuttavia, secondo la tradizione, nulla di tutto ciò sarebbe accaduto senza un temporale. Nel 1501 Lutero si iscrisse alla facoltà di Legge dell’Università di Erfurt, e nulla faceva intravedere la sua vocazione ecclesiastica. In una giornata di luglio del 1505, mentre stava andando all’università, si scatenò un temporale e un fulmine gli cadde vicino, facendogli temere il peggio.
FULMINE DI DIO. In quegli istanti nella sua mente si materializzò un voto che avrebbe cambiato il corso della Storia dell’Occidente: «salvami Sant’Anna, e io mi farò monaco». Solo 15 giorni dopo, all’età di 22 anni, il giovane Martin Lutero entrò nel convento agostiniano di Erfurt dove nel 1507 venne poi ordinato sacerdote. Insomma un temporale trasformò quello che doveva essere un avvocato nel padre del protestantesimo.
5. UN TORNADO CONTRO LE TRUPPE DI SUA MAESTÀ.Durante la guerra anglo-americana del 1812-1815 le truppe britanniche, per un brevissimo periodo, occuparono anche la capitale statunitense: la notte del 24 agosto 1814, infatti, 4.500 soldati inglesi guidati dal contrammiraglio George Cockburn vinsero la resistenza della guarnigione a difesa della città ed entrarono a Washington. Tuttavia dopo appena 26 ore le truppe britanniche abbandonarono la città che tornò in mano agli americani.
TEMPO DI FUGA. Nel pomeriggio del 25 agosto, mentre le truppe britanniche erano impegnate a incendiare e distruggere Washington, sulla città si scatenò un temporale accompagnato da un potente tornado e molti soldati persero la vita o rimasero feriti, mentre dalle rive del vicino fiume Patuxent, dove era ancorata la flotta britannica, arrivavano notizie di navi seriamente danneggiate. Il micidiale colpo sferrato da quel violentissimo temporale convinse Cockburn a ripiegare e abbandonare la città, e così il 27 agosto, il presidente americano Madison poté fare ritorno nella capitale.
6. SBARCO IN SICILIA: C’È TEMPESTA, ANZI NO. Per l’invasione della Sicilia nel 1943 gli Alleati mobilitarono quasi mezzo milione di soldati al comando del generale Patton. Un esercito imponente, da trasportare sulle coste italiane con più di 2.600 navi. Come scrisse in seguito Churchill «era la più grande operazione anfibia mai progettata nella Storia, e tutto dipendeva dal tempo».
La flotta alleata salpò il 4 di luglio e navigò su un Mediterraneo calmo fino al pomeriggio del 9 quando, proprio mentre si preparava allo sbarco, il tempo peggiorò. Per qualche frenetica ora i vertici alleati presero in considerazione l’idea di rimandare l’invasione e solo l’intervento dei meteorologi, che assicurarono un imminente miglioramento, li convinse a proseguire.
PREVISIONI AZZECCATE. In effetti la sera del 9 luglio una rapida attenuazione del vento consentì ai mezzi anfibi di percorrere l’ultimo tratto di mare sotto le migliori condizioni atmosferiche. Oltretutto le acque, ancora leggermente increspate, rendevano i mezzi anfibi un bersaglio più difficile. Le truppe dell’Asse, ingannate dal peggioramento del pomeriggio, confidavano di passare una notte tranquilla, e si fecero trovare impreparate all’assalto. Così nelle primissime ore del 10 luglio l’esercito di Patton riuscì a sbarcare in Sicilia e avviare la liberazione dell’Italia.
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