Le radici antiche di un "vizietto" di chi governa: usare la paura come arma politica e di propaganda...
L'ingresso degli Unni a Roma in un dipinto di fine Ottocento.
Paura. È il più vecchio strumento del potere. Quando c’è una crisi in vista o ci si trova in un momento di difficoltà sociale e i pilastri di una nazione o di un popolo vacillano, la paura diventa spesso una risorsa da tenere viva, per tenere viva la collettività stessa.
Ma per farlo ci vuole un nemico. Nella storia sono stati molti i nemici che hanno contribuire a rafforzare l'identità dei popoli: a partire dai barbari, il nemico perfetto degli antichi Greci.
IDENTITÀ CERCASI. Le città greche definivano “barbari” (parola onomatopeica inventata proprio dai Greci) la gente che parlava una lingua incomprensibile. E i più barbari tra i barbari erano i Persiani. Il barbaro era descritto come diverso in tutto: non solo non parlava come i Greci, ma nemmeno mangiava come loro. In più, i Persiani erano comandati da un re investito di un potere assoluto e non conoscevano la democrazia.
Nel teatro (che plasmava l’opinione pubblica) e nella storiografia (che era destinata a pubbliche letture) la contrapposizione divenne ideologica e religiosa: la terra dell’uno (la Persia monoteista e assolutista) minacciava quella del molteplice (la Grecia delle città-Stato politeiste). Le pratiche rituali, i miti e tutto ciò che chiamiamo religione greca si assunse così il compito di cementare e celebrare l’identità collettiva greca.
INVASIONI O MIGRAZIONI? I barbari furono gli sparring partnerdella politica della paura anche per i Romani. Al campionario di accuse i Romani ne aggiunsero una usata in seguito da regni, imperi e governi alle prese con grandi migrazioni: i barbari, oltre che brutti e cattivi, erano per definizione anche tanti e inarrestabili.
Gli spostamenti dei nomadi sono descritti dalle fonti romane come una marea che monta a ondate successive: i Celti e i Galli in età repubblicana, i popoli dell’Est in quella imperiale. «Questo nonostante la vera minaccia alla pace fossero piuttosto i Romani stessi, che si affermarono con violenze e massacri» sottolinea lo storico Alessandro Barbero.
«Erano i “barbari” ad aver paura dei legionari. Tanto che alla fine quasi tutti furono romanizzati e integrati nell’impero. L’integrazione fu un modo politico per esorcizzare la paura del diverso». Eppure la retorica ufficiale continuò a parlare dei presunti sacrifici umani praticati dagli stranieri anche quando ai vertici di esercito e province c’erano ormai molti ex barbari.
Una carica dei Templari in Terrasanta nel XII secolo, in un’illustrazione moderna. Il loro ordine fu fondato nel 1118 (e le regole fissate da San Bernardo) con lo scopo di proteggere le vie di comunicazione con la Terrasanta e custodire luoghi come il Calvario o il Santo Sepolcro. Si distinsero per la quasi disumana disciplina che li regolava, e per ferocia e la determinazione in battaglia (gli arabi li chiamavano “diavoli bianchi”).
INFEDELI. Quando il cristianesimo divenne religione di Stato (IV secolo) l’identità del nuovo potere si compattò invece non più grazie ai barbari ma grazie agli eretici. «Gli ariani, in particolare, dal IV-V secolo furono descritti come mostri dopo che la loro dottrina fu bollata come eretica. Il nemico non era più definito su base etnica, ma su base religiosa» dice Barbero.
La demonizzazione era ormai diventata parte di un aperto gioco di potere. Non a caso il diavolo, una figura quasi sconosciuta nei primi secoli del cristianesimo, debuttò proprio nel Medioevo.
E con lui altri spauracchi. «Fra l’età di Carlo Magno (IX secolo) e il Mille, nelle cronache apparvero “nuovi barbari” da contrapporre alla civiltà cristiana» continua lo storico. «I loro nomi erano Vichinghi, Ungari, Saraceni: erano saccheggiatori e, in più, pagani».
IL NEMICO PERFETTO. Le crociate non avevano però nel loro mirino solo musulmani e saraceni come comunemente si crede. Già la prima (1095) fu illuminata infatti dai roghi delle spedizioni punitive contro gli ebrei. «Tra Medioevo e Rinascimento, un tempo dominato dall'insicurezza, la paranoia collettiva raggiunse l'apice e cercò disperatamente cause all'origine di eventi apocalittici come la peste»continua Barbero.
Serviva un capro espiatorio e gli ebrei sembravano creati apposta per quello. «Furono accusati di avvelenare pozzi e rapire bambini, isolati dalla società di cui erano parte integrante e messi nei ghetti (che prima non esistevano), indicati a dito con l’imposizione di segni distintivi (il colore giallo) e massacrati come untori».
Un fenomeno strumentalizzato dalla Chiesa con un potente argomento suggerito ai fedeli: la favola degli ebrei popolo deicida.
Tra ’800 e ’900, quando l’identità delle nazioni europee entrò in crisi (e loro, con il 1914, in guerra) l’antisemitismo divenne uno strumento di propaganda potentissimo, rafforzato dalle teorie razziste.
Nacquero così clamorosi falsi storici preparati a tavolino, come i Protocolli dei Saggi di Sion: scritti da un gruppo di antisemiti russi legati alla polizia segreta dello zar e pubblicati nel 1903 come un testo concepito in ambito ebraico, prefiguravano la conquista del mondo da parte di una “cospirazione giudaica”.
RICETTA SEMPREVERDE. Amplificata dai giornali e dalla radio, poi anche dal cinema e dalla televisione, la demonizzazione del nemico (non solo ebraico) si trasformò in manipolazione di massa con i due conflitti mondiali e con la Guerra fredda, tra gli Anni ’50 e gli ’80.
La ricetta, nell’ultimo secolo e mezzo, è rimasta la stessa. Dapprima alimentare il sentimento di insicurezza. Poi identificare l’obiettivo delle paure: nemici interni che minano la tenuta del Paese. Un copione sempre uguale che nel 1948 fece sentenziare allo scrittore inglese Aldous Huxley: “Il potere si regge su tre pilastri: paura, nemico, nazione”.
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