Ai tempi della Repubblica i Romani si insultavano senza pietà. E le accuse non avevano nulla da invidiare alle invettive che circolano oggi in rete.
Rappresentazione di una seduta del Senato: Cicerone denuncia Catilina in un affresco del XIX secolo.
Oggi ci stupiamo per il tono aggressivo di alcuni dibattiti politici in televisione e in rete. Ma nell'antica Roma le cose non andavano meglio. Gli attacchi personali erano all’ordine del giorno e le invettive non avevano nulla da invidiare ad alcuni degli scambi più accesi che sentiamo quotidianamente. Anzi erano parte integrante della vita pubblica dei senatori.
Lo storico Martin Jehne della Technische Universität di Dresda ha recentemente raccontato come i politici negli anni della Repubblica (509-27 a.C.) si insultassero senza pietà. Ciò avveniva principalmente al Senato e nelle assemblee popolari (comitia e concilium), organismi assembleari di democrazia diretta riconosciute dal Senato stesso come entità politiche a tutti gli effetti.
DEMOCRAZIA DIRETTA. Non si trattatava mai di assemblee spontanee: spettava ai magistrati che le presiedevano indire le adunanze, stabilire l'ordine del giorno e sottoporre al voto le proposte di legge. L'assemblea aveva il diritto di accettare o respingere le proposte di legge, ma mai di modificarle.
Era in questi contesti che l’élite politica della Repubblica era passata ai "raggi x" dal popolo e allo stesso tempo insultata e sbeffeggiata non soltanto dagli avversari politici ma anche dallo stesso pubblico.
Secondo Jehne, il mondo politico romano era molto duro, ma esistevano delle regole: «I politici si insultavano tra loro senza pietà, ma allo stesso tempo, nelle assemblee popolari, dovevano permettere che la gente li insultasse, senza poter abusare del loro potere» precisa lo storico.
Qualche esempio? Il famoso oratore e politico romano Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.) in un'orazione accusò pubblicamente il suo nemico Clodio di incesto con fratelli e sorelle, pratica sessuale illegale. Clodio a sua volta reagì e accusò l’oratore di comportarsi come un re quando ricopriva la carica di console: un'accusa seria, dal momento che la regalità nella Repubblica romana non era vista di buon grado.
LA CALUNNIA È UN VENTICELLO. Oggi si discute molto su ciò che è consentito dire in strada e sul web. Allora invece la questione non era percepita come urgente: stando al diritto romano era previsto il reato di ingiuria e offesa all'onore, ma le denunce a conti fatti erano scarse. Anzi, secondo lo storico, i Romani che vivevano in città erano orgogliosi della loro verve tagliente. La consideravano un tratto distintivo della loro urbanitas da contrapporre alla rusticitas di chi viveva fuori dai confini della capitale. E quasi mai dopo un violento scontro verbale si serbavano rancore: gli avversari politici dopo le invettive, collaboravano nuovamente mantenendo rapporti cordiali.
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