Quando non c'erano gli alimenti e il divorzio era un tabù, che ne era delle donne che uscivano dal nucleo famigliare?
C'eravamo tanto amati.
Era il 1970 quando in Italia fu varata la legge sul divorzio. Quattro anni dopo gli italiani andarono in massa a votare il referendum per dire se volevano la sua abrogazione: vinsero i “no” e il divorzio rimase legale. Una rivoluzione, soprattutto per il cosiddetto sesso debole, che vide riconosciuto il diritto di scegliere come e con chi vivere. Ma prima, come ci si separava? E la donna, dopo la separazione, come campava?
GRAN DOTE, GRAN BALDANZA. Nell’antichità a farla da padrona era la dote. Una donna passava dalle mani del padre a quelle del marito con parte dei suoi beni: terreni, case, in alcuni casi anche schiavi. Più ricco era il premio in palio, più alte erano le possibilità di contrarre un buon matrimonio. Divorziare, nei casi previsti dalla legge, era possibile, ma per la donna la separazione si risolveva in un cambio di padrone: se l’unione veniva meno, lei tornava sotto la potestà paterna, con i suoi beni, unica fonte di sostentamento. E se era colta in flagrante adulterio era rispedita a casa senza la dote.
UN CASO RARO. Tra gli egizi, durante l’Antico regno (2700-2192 a.C.), le donne godevano di una certa indipendenza: quando si sposavano continuavano a disporre dei loro beni e li mantenevano anche in caso di divorzio - perché davanti alla legge avevano stessi diritti e medesimi doveri degli uomini.
IN ESILIO. Non era così nell'antica Roma. A disciplinare il divorzio (divortium, separazione) - frequentissimo durante la Repubblica - e l'adulterio, fu Augusto: la donna che tradiva durante il suo impero era punita con la confisca della metà della dote e l'esilio su un’isola. La stessa sorte toccava all'amante - ma l'esilio era su un'isola differente, è naturale.
Le regole si inasprirono ancora di più in seguito, con il cristianesimo. Se abbandonata o ripudiata, la donna poteva scegliere se tornare a casa o chiudersi in convento. A meno di essere lei la fedifraga - in quel caso veniva cacciata senza un soldo - o di essere figlia di un papa, come Lucrezia Borgia.
A lei non solo fu concesso divorziare (fu annullato il primo matrimonio avallando la falsa accusa di impotenza del marito), ma anche risposarsi. Per tutti gli altri il divorzio era impossibile.
LIBERI TUTTI! A far vacillare l’ortodossia cattolica fu la Rivoluzione francese. Per un breve periodo, nei giorni di furore giacobino seguito agli eventi del 1789, si raggiunsero vette libertarie che per i secoli successivi rimasero una chimera: si poteva divorziare addirittura per semplice incompatibilità di carattere.
Con una serie di leggi successive, tra il 1792 e il 1794 si sancì anche il principio che nessuno può essere obbligato a rimanere legato a una persona quando non lo voglia: era il trionfo della libertà individuale proclamato dalla rivoluzione. Si stabilì allora anche il criterio della comunione dei beni e dell’assegno di mantenimento.
RESTAURAZIONE. I tempi però non erano maturi per un modello di famiglia borghese così emancipato e libertario, anche perché il matrimonio - a differenza di oggi - era ritenuto un’istituzione chiave della società, e il bene della società veniva prima delle libertà del singolo. Risultato? Ci fu un ritorno all'ordine e alla restaurazione, anche in tema di divorzio.
E OGGI? Come si è giunti allora all’epoca delle Liz Taylor, l’attrice che vanta nel suo curriculum otto matrimoni? In mezzo ci fu la rivoluzione industriale, che introdusse nella cultura di massa nuovi valori individualistici, recuperati dalla Rivoluzione francese.
Insieme non si sta più per dovere, ma per amore. E quando questo finisce ci si lascia. A patto che un coniuge aiuti economicamente quello più debole. Una pratica sconosciuta in passato - ma quantomeno "consolatoria", se la si pensa come l’attrice tedesca Marlene Dietrich, che affermava: “Quando l’amore finisce gli alimenti colmano il vuoto”.
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