I manufatti dell'antico Egitto aiutano gli scienziati a ricostruire l'ecosistema di 6.000 anni fa e a spiegare l'estinzione di molti grandi mammiferi.
I due lati di una tavoletta cerimoniale rinvenuta nella zona di Ieracompoli e risalente a 5.150 anni fa. Sono rappresentati licaoni, struzzi, alcelafi, gnu, stambecchi, orici e giraffe.
C'era una volta la valle del Nilo, dove leoni, licaoni, elefanti, orici, alcelafi e giraffe popolavano un ecosistema che comprendeva ben 37 specie di grandi mammiferi. Non è una favola, ma ciò che ci raccontano gli artefatti dell'antico Egitto, reperti che hanno permesso agli scienziati di stilare un elenco dettagliato dei mammiferi che vivevano nella valle del Nilo oltre sei mila anni fa.
SE PRIMA ERAVAMO IN 37. Uno studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) ha utilizzato questi dati per ricostruire le interazioni tra predatori e prede e spiegare, attraverso nuovi modelli, i drastici cambiamenti avvenuti negli ecosistemi nei secoli successivi. Delle 37 specie di grandi mammiferi presenti in questa zona all'inizio dell'Olocene (l'epoca geologica in cui ci troviamo, iniziata 11.000 anni fa), solo otto sono sopravvissute fino a oggi.
IL CLIMA E L'UOMO. I ricercatori hanno identificato cinque episodi avvenuti negli ultimi 6 mila anni che hanno provocato una drastica diminuzione dei mammiferi. Questi avvenimenti hanno principalmente a che fare con l'inaridimento climatico iniziato 5.500 anni fa con la fine del periodo umido africano e l'aumento esponenziale della densità di popolazione umana lungo la valle del Nilo.
Un ghepardo annusa un riccio. Il dipinto è stato ritrovato nella tomba del faraone Khnumhotep II.
PERDITA DI EQUILIBRIO. Questi cambiamenti hanno innescato una grave destabilizzazione. Al diminuire del numero delle specie è venuto a mancare quell'esubero che permetteva all'ecosistema di mantenere il suo equilibrio: se inizialmente l'estinzione locale di un mammifero tra tanti non aveva un grande impatto, la perdita costante di varietà ha amplificato notevolmente l'importanza di ogni singolo organismo. Come spiega Justin Yeakel, autore principale dello studio:
«In quest'area c'erano diverse specie di gazzelle e altri piccoli erbivori che venivano cacciati da moltissimi predatori. Al diminuire della varietà delle prede, la perdita di ogni singola specie ha un effetto maggiore sulla stabilità del sistema e può portare a successive estinzioni».
Il cambiamento più recente si è verificato circa 150 anni fa con la scomparsa locale dell'antilope bianca, del leopardo e del cinghiale.
Un esemplare di sciacallo dorato.
La conseguenza è che delle otto specie rimanenti, tra cui la iena striata, lo sciacallo dorato (Canis aureus) e la volpe egiziana si trovano oggi in una condizione di vulnerabilità molto grave, mai verificatasi negli ultimi 12 mila anni, spiega Science.
USARE CON CAUTELA. Il modello di studio sviluppato dal gruppo di ricerca di Yeakel può aiutare a prevedere il rischio di estinzione, ma va preso "con le pinze". La presenza di un animale su una tavoletta cerimoniale non è necessariamente la prova della sua esistenza a quel tempo, perché spesso gli artisti copiano dal passato.
Commenti
Posta un commento