Da sempre considerato relativamente poco pericoloso, l'Etna sta cambiando: forse "pesca" magma da un altro bacino vulcanico e le sue eruzioni potrebbero col tempo diventare più esplosive.
L'Etna non è un vulcano esplosivo, ma le sue lave si avvicineranno a quelle dei vulcani di questo tipo, tipici della cintura di fuoco del Pacifico.
Il terremoto del 26 dicembre 2018, avvenuto alle 3:19 sul basso fianco sud-orientale dell'Etna, è stato uno dei più energetici mai registrati a memoria d'uomo sul vulcano. L'evento sismico di magnitudo 4.8 è stato localizzato a un chilometro a sud dell'abitato di Lavinaio, alla profondità di circa 1 chilometro sotto il fondale del mare.
Il fenomeno sismico è stato preceduto e accompagnato da una importante attività di deformazione del vulcano, che ha generato complessivamente uno sciame di oltre 1.100 sismi. Il tutto durante una fase di attività vulcanica molto intensa che si riversa dalla base del nuovo cratere di sud-est verso l'ambiente desertico dell'ampia Valle del Bove. Stando ad una serie di analisi realizzate negli ultimi giorni l'eruzione, che sembra essere diminuita, potrebbe riprendere a quote più basse, attorno ai 2.400 metri, dove si potrebbero aprire nuove fratture (si tratta tuttavia di una previsione).
LA TRASFORMAZIONE DELL'ETNA. Dalla maggior parte della gente e, in passato, anche da molti vulcanologi, l'Etna è sempre stato considerato relativamente poco pericoloso per via delle sue manifestazioni effusive, non esplosive, che danno origine a colate di lave fluide, con poco materiale sparato in atmosfera.
Recenti ricerche hanno però evidenziato che negli ultimi 60.000 anni il materiale eruttato si avvicina sempre di più a quello prodotto dai vulcani della cosiddetta cintura di fuoco del Pacifico, sebbene il vulcano siciliano sia considerato diverso da questi ultimi. Questa ipotesi è suffragata da ricerche che dimostrano una possibile evoluzione della sorgente magmatica dell'Etna verso un vulcanismo di tipo esplosivo, più simile cioè al comportamento di Vulcano (isole Eolie), a nord della Sicilia.
Questa complessa situazione si spiega ipotizzando che nelle ultime migliaia di anni vi sia stata una lacerazione al di sotto della crosta terrestre, che ha permesso al materiale del mantello già presente sotto le Eolie di fluire verso la regione dei magmi dell'Etna. Ciò renderebbe questi ultimi più esplosivi rispetto a qualche decina di migliaia di anni fa: con il trascorrere del tempo (sempre in termini geologici), le lave dell'Etna diventerebbero dunque più esplosive - e quindi più pericolose.
IL FIANCO CHE SCIVOLA A MARE. Un'altra questione importante riguarda lo scivolamento del versante dell'Etna che guarda verso mare.
Già dagli anni Ottanta, e su evidenze puramente geologiche, si avanzò l'ipotesi di questo moto verso il mare, ma con l'avvento delle tecniche di misura satellitare delle deformazioni del suolo si è potuto stabilire con certezza che (negli anni in cui è stato monitorato) il fianco del vulcano è scivolato a una velocità media pari a 2-3 centimetri l'anno.
Il moto sembra innescato soprattutto dalla gravità (il peso dell'intero versante) piuttosto che dalla spinta del magma in risalita. Al momento non ci sono indizi di una possibile accelerazione del fenomeno, tale da poter creare maremoti o problemi di altro genere, va però anche ricordato che nel corso del tempo il movimento del fianco orientale dell'Etna ha invece mostrato accelerazioni, spesso collegate a eruzioni.
ERUZIONI DISTRUTTIVE. L'Etna è capace di imponenti emissioni di lave, come quella del novembre del 1928, quando la cittadina di Mascali (Catania) - già risorta dopo un devastante terremoto di 3 secoli prima (1693) - fu sepolta dalla colata lavica. Oggi il vulcano è monitorato con grande attenzione e si potrà capire, in futuro, se si avvicinerà a eruzioni più importanti rispetto a quella in atto in questi giorni.
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