Come ogni inverno, l'arrivo del gelo in Europa e del vortice polare negli Stati Uniti spinge alcuni (che non conoscono la differenza tra meteo e clima) a negare la realtà del global warming. La verità, però, è un'altra.
Il vortice polare che ha investito gli USA nell'ultima settimana di gennaio 2019 ha reso la permanenza all'esterno una vera sfida. Bastano pochi minuti per rischiare il congelamento di dita e parti esposte del viso.
Meno 33 gradi a Chicago, -35 °C in Nord Dakota, venti freddi a -52 °C. E ancora scuole e uffici chiusi, rischio immediato - o quasi - di congelamento... sembra la cronaca del gennaio del 2018, o di quello prima ancora, invece sono fatti degli ultimi giorni: ancora una volta il vortice polare attanaglia gli Stati Uniti settentrionali e il Midwest, con temperature più fredde che in diverse zone dell'Antartide.
Quando arrivano, puntualmente, periodi con temperature estremamente basse e con il gelo che stringe la sua morsa, altrettanto puntualmente tornano le obiezioni di coloro (tra questi, anche il presidente degli Stati Uniti) che non ritengono il riscaldamento del pianeta una realtà: perché su un pianeta che si riscalda, alcune zone possono diventare così fredde? Questo non smentisce il global warming? Come si spiega queto fenomeno?
ERRORI. I climatologi fanno notare che in questi casi si tende a compiere qualche errore di valutazione. Primo, un periodo di freddo di alcuni giorni in un'area del pianeta è un fenomeno meteorologico, e la meteorologia spiega quanto accade in un momento limitato nel tempo (e nello spazio). Secondo: il cambiamento climatico globale è invece una teoria (scientifica) che spiega quanto accade e accadrà all'intero pianeta nell'arco di 150 anni o più.
Di questi fatti tratta la climatologia, non la meteorologia. Durante l'ondata di gelo del 2018, sulla costa orientale degli Stati Uniti le temperature arrivavano a quasi -40 °C, la costa occidentale stava ancora cercando di riprendersi dagli effetti di spaventosi incendi che avevano colpito in particolare la California.
In molte altre parti del mondo, Alaska e Siberia comprese, le temperature erano decisamente più elevate: in particolare, nelle zone artiche si erano registrate temperature di circa 3,4 °C superiori alla media.
E ALLORA PERCHÉ? La spiegazione di un fenomeno così particolare sta nel cosiddetto vortice polare: questo fenomeno è una specie di anello continuo di venti in quota che circondano il Polo Nord e “trattengono” alle alte latitudini l’aria più fredda. In seguito al riscaldamento, e forse alla fusione dei ghiacci polari, questo vortice comincia a rallentare e quindi a disegnare onde più profonde e ampie, che possono anche spezzarsi (vedi immagine sotto). Queste onde più profonde causano un’irruzione di aria polare verso latitudini più basse e di aria più temperata verso nord.
Il vortice polare si indebolisce (il circolo azzurro) e lascia scivolare verso sud l’aria artica. Anche le correnti a getto (le onde blu) diventano più deboli e l’aria più calda (frecce rosse) si spinge a nord. L’aria polare, densa e fredda, penetra verso sud e si blocca sugli Stati Uniti. L’aria più calda sale e si ferma sull’Europa. Per approfondire: dove sono finite le stagioni? (pdf dal Dossier Focus 269)
Il vortice polare a sua volta influenza l’andamento delle cosiddette correnti a getto (jet stream), flussi d’aria molto veloci e ad altitudini elevate: le correnti a getto, a contatto con le perturbazioni, governano il clima.
ANCHE IN EUROPA. Lo stesso fenomeno, in quel periodo, è avvenuto sopra l’Europa e l’Asia settentrionale, come spiegato da un articolo di Marlene Kretschmer e altri del Potsdam institute of climate impact research. L’articolo dimostra come l’indebolimento del vortice polare è un fenomeno persistente, che si è rafforzato ormai da qualche decennio, e che è molto probabilmente collegato a inverni freddi sul nostro continente, anche se non così gelidi come negli Usa (qui un riepilogo dell'articolo, in inglese):
“negli ultimi quarant'anni questi eventi meteo, particolarmente rigidi, innescati dai forti venti artici, sono diventati più persistenti, più lunghi”
Una conferma che, anche se i meccanismi non sono del tutto compresi, il riscaldamento anomalo dell’Artico e dell'intero pianeta ha impatti importanti sul clima della Terra.
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