Due ricercatori inglesi dicono di aver scoperto l'identità del celebre seriak killer, grazie allo studio del DNA. Ma la comunità scientifica muove più di un'obiezione. Chi ha ragione?
Un'illustrazione d'epoca sul ritrovamento di una delle vittime di the ripper
A distanza di 130 anni, è ancora uno dei grandi misteri della scienza forense. Comprensibile, dunque, che man mano che si evolvono le tecniche di indagine, gli investigatori tentino di dare un volto (e un nome) a Jack lo Squartatore, il famigerato serial killer dell’epoca vittoriana. Gli ultimi ad aver provato a dire la loro su the ripper (questo il suo soprannome in inglese), sono David Miller, ricercatore della scuola di medicina dell’Università di Leeds, e Jari Louhelainen, docente di biologia molecolare alla Liverpool John Moores University, che, per dare un'identità certa al killer che uccise in modo macabro - e impunito - alcune prostitute nel 1888 a Londra, hanno usato alcuni campioni di DNA trovati sulle scene del crimine.
CHI ERA JACK? Pubblicato sul Journal of Forensic Sciences, lo studio afferma di aver identificato Jack lo squartatore in un barbiere polacco all'epoca ventitreenne di nome Aaron Kosminski. La teoria è stata presentata per la prima volta nel 2014, ma è stata riaffermata e sottoposta a peer-review (revisione da parte di altri scienziati e specialisti) in questo ultimo studio. «Tracce di liquido seminale, rinvenute sullo scialle di una delle donne, ci hanno permesso di abbinare il DNA con i discendenti di uno dei sospetti assassini: l'immigrato polacco Aaron Kosminski», spiega Miller.
Lo scialle in questione sarebbe appartenuto alla quarta vittima dell'assassino, Catherine Eddowes, che fu uccisa nel settembre del 1888. Anche se la presenza del liquido seminale di Kosminski, da solo, non significa necessariamente che fosse lui Jack lo Squartatore - è certamente un argomento interessante. È stato Louhelainen, il coautore dello studio, a confrontare il DNA mitocondriale dalla macchia di sangue dello scialle con quello di Karen Miller - una discendente di Eddowes.
IL CASO (NON) È CHIUSO. Dunque finalmente abbiamo un “colpevole”? Non è detto. L’approccio dei due ricercatori non ha convinto tutta la comunità scientifica: altri ricercatori sostengono innanzitutto che non vi è alcuna prova che lo scialle fosse presente sulle scene del crimine; inoltre il DNA mitocondriale non può essere inteso come prova definitiva per collegare il barbiere agli omicidi. Infine, l'analisi dello scialle stesso ha sollevato ulteriori dubbi: il tessuto era molto pregiato, troppo per essere appartenuto a una prostituta di quel tempo, inoltre risultava prodotto in Russia. Questo, naturalmente, non escluderebbe che Kosminski possa avere acquistato la sciarpa in Polonia (che all'epoca era sotto il controllo della Russia) per regalarla alla sua vittima. Ma è una supposizione.
Miller e Louhelainen ribattono comunque che ci sono altre prove risalenti al 1880 che fanno riferimento al nome dell'uomo, tra cui gli appunti degli investigatori dell'epoca menzionavano un "Kominski", e il verbale di un testimone che sosteneva di averlo visto attaccare una delle vittime. Sebbene quel testimone si sia in seguito rifiutato di testimoniare, la teoria non è del tutto trascurabile.
LA PAROLA ALLO SMITHSONIAN. Ma, per quanto suggestiva, l'ipotesi dei ricercatori inglesi non ha convinto lo Smithsonian Institute, uno dei più autorevoli istituti di ricerca del mondo. In un articolo pubblicato a commento della ricerca, si legge: “Dopo 130 anni, finalmente conosciamo l'identità di Jack lo Squartatore? Sfortunatamente no”. E giù con una serie di opinioni autorevoli, che sconfesserebbero la teoria del barbiere. Si legge: "Come sottolinea Hansi Weissensteiner, un esperto di DNA mitocondriale, il DNA mitocondriale non può essere utilizzato per identificare positivamenteun sospetto, ma eventualmente può solo escluderne uno, poiché migliaia di altre persone potrebbero avere lo stesso DNA mitocondriale". Inoltre alcuni esperti sostengono che i risultati siano stati presentati in modo non corretto e incompleto.
VITTIME. L’autore dell’articolo cita poi come fonte definitiva, la storica Hallie Rubenhold, autrice del libro The Five: The Untold Lives of the Women Killed by Jack the ripper, secondo cui: “In questo studio non ci sono prove storiche, nessuna documentazione che colleghi lo scialle a Kate Eddowes”. L’obiezione di Rubenhold in realtà è anche di tipo “morale”. Oggi, a distanza di 130 anni dagli omicidi, non è l’identità del killer che conta. Ma quella delle donne che ha assassinato, tanto che nella suo libro dedica poco spazio al killer e alla sua maniera cruenta di agire e sposta l'attenzione verso le vite delle sue vittime. Chi erano le 5 donne assassinate? Quale triste storia le portò a incrociare il killer? Perché in tutti questi anni, ci siamo tutti interessati a the ripper senza chiederci nulla di loro?
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